Correva l'anno 1886

Il Popolano n. 4 del 28 febbraio 1886


Festa di S.Giovanni di Dio

Siamo davvero estasiati por il modo sontuoso con cui s'è solennizzata—  il giorno 8 del corrente — la festività di S. Giovanni di Dio. 

Contrarii per convincimento a questo giro che si fa fare ai santi per le vie dell'abitato, siccome cosa ovvia e di nessuna serietà, ci ha fatto penosa impressione — anche volendo rispettare le consuetudini —il vedere sostituita, al solito brio d'una festa, una freddura bella e buona da mettere lo sbadiglio e la noia fin dentro il midolla delle ossa.

Un bravo di tutto cuora ai dirigenti la Confraternita del Rosario che, moltiplicandosi e sforzandosi, hanno fatto del loro meglio onde la festività, oltre di riuscire più solenne, incontrasse l'approvazione dei cittadini . E voi, o filantrope pinzochere, ingegnatevi a mandar l'obolo.

(Il Popolano n° 5 del 17 marzo 1886)

Troppe cantine

Un'usanza inveterata che guida all'immoralità e che si dovrebbe far di tutto onde combatterla ed abolirla è il numero sproporzionato delle cantine. A Corigliano le cantine sono poste nelle vie principali dell'abitato allo stesso modo che in altre città fanno bella mostra di sé i più ricchi e lussuosi negozi. Ciò che disturba seriamente e nausea è il modo poco civile di bere il vino. Figuratevi, amici lettori, che ogni dì festivo - e si incomincia da mattina - si formano dei crocchi di gente innanzi a queste benedette cantine e con le caraffe in mano si tracanna il dolce elisir fra le grasse risate di chi è padrone e le bestemmie con parole oscene di chi resta a bocca asciutta (all'ombra). Tante volte accade che in mezzo al più bell'umorismo si veggono luccicare le lame dei coltelli, e quindi un po' di scherma che finisce a ferimenti.

(Il Popolano n° 6 del 31 marzo 1886)

Il Popolano supplemento al n. 8 del 8 maggio 1886


Il Popolano n. 9 del 13 maggio 1886

Supplemento del 21 maggio 1886 al Popolano n. 10

Il Popolano n. 11 del 30 giugno 1886

Il Popolano n° 12 del 16 giugno 1886

 

 Anno  IV                     Corigliano Calabro 16 Giugno 1886                Num. 12.

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IL POPOLANO

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GIORNALETTO QUINDICINALE

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DOVE SIAMO?

Mi sarebbe parso di sognare, proprio sognare, se non fossi stato testimone oculare del modo tenuto dagli elettori nell'ultime elezioni politiche. Criterii barocchi, per non dire nessuno criterio; ciarlatanerie, privati interessi, raccomandazioni di Tizio, e di Sempronio, poco conta se per persone atte all'altissimo mandato, il pandemonio addirittura, hanno ispirato l'ultimo voto dell'urne. Chi, in buona fede. potrà dire di aver votato secondo coscienza? I pochissimi indipendenti, spregiudicati, ribelli al sillabo delle altrui influenze; i moltissimi, pacudum more, ànno votato per liste già da un pezzo stabilite. E pure, chi non avrebbe dovuto pensare che dal voto, così baroccamente abusato poteva venire il bene o il male di questa povera Italia, la quale, anche oggi, con i benefici raggi della libertà, pare destinala a subire quel servilismo morale, ch'è rovina delle istituzioni.

Quali le conseguenze del malaugurato voto, vedremo, fra poco, nel corso della presente sessione della Camera. Allora, dovendosi delineare i partiti, avremo a riconoscere il danno fatto, perché non può ritenersi maggior rovina di quella che perpetui il confusionismo o trasformismo che dire si voglia — I partili, nella Camera, sono indispensabili, benefici, perché dove manca il contrasto manca la vita; ma essi debbono essere delineati, distinti; non debbono ammettere transazioni le quali sono sempre perniciose al pubblico bene.

Dalle urne, testé consultale, è venuta più rafforzata la destra o la sinitra? Se no, gli elettori hanno tradito il loro mandato, e niente compreso lo stato in cui si trovava il Paese prima del 23 maggio ultimo. E, già, a voler esaminare le risultanze dì questo o quel Collegio, si può benissimo avere delle prove poco soddisfacenti. In una medesima lista, con la maggiore sconsigliatezza al mondo, si è visto il nome del radicale, del depretino, del partitario della vecchia destra, dell'uomo della sinistra. E da questo cibreo di voti n'è venuto fuori il deputato camaleonte, senza programma definito e senza carattere politico. Si son visti non essere rieletti deputati autorevolissimi, come il Bonacci, il Simonelli, il Tecchio, il Pellegrini, il Marazio e perfino il benemerito Sanguinetti e l'ill.mo Correnti; essere eletti certe nullità, che non hanno altro merito oltre quello di essere pecore dal vello d'oro o creature del partito governante. Basti ricordare (vergogna!) la elezione di due galeotti, Amilcare Cipriani e Alcibiade Moneta; basti dire che non fu eletto un Giosué Carducci, il primo scrittore vivente, il creatore della nuova poesia; il quale, senza raggiri o artifizii elettorali, si presentava agli elettori, obbedendo alla volontà di un estinto, ad una voce che gli parlava dalla riva del suo mare. Ahi, Pisa vituperio delle genti! 

A considerare questi fatti, l'animo si aggrava del più acuto sconforto; e la vergogna si ferma sul volto; e, nell'amarezza del presento e nel timore dell'avvenire, viene spontanea la domanda: dove sia no?...

 

ULTIMA ECO

Pubblichiamo con ritardo, la seguente lettera del distinto Prof. Gallerano; la cui bellezza sarà del resto per compensare l’indugio frapposto a pubblicarla.

Caro Dragosei,

All'indomani dello splendido banchetto offerto al Deputato Compagna da questa affettuosa cittadinanza, io, testimone e parte, non so al tutto rassegnarmi a tacerti le mie impressioni, ché anzi ho qualcosa che mi frulla dentro, e prendo a scriverti non già per un proposito, ma per ispontaneo impulso del momento. Capirai che, se non fosse la nota dei lirismo che s'intreccia bellamente a quella dell'interesso cittadino, io non farei un sol motto, come non ho fatto, durante l'altalena delle simpatie più o mano spinte lungo tutto il periodo che precesse le elezioni. Ma no; qui si ha precisamente l'opposto di quello che si dice simpatia individuale. Nella festa di iersera, tutta bella e spontanea, io trovo l'eco d'un voto e d'un affetto concorde; voto e pensiero che onorano una cittadinanza, e, staccandola agl'ingrati pettegolezzi del giorno, ne elevano il senso morale, la rendono più pregiata a sé ed altrui. Quind'io, che tanto sospiro la non mentita concordia degli affetti, accolto alla lieta adunanza, mi vi mescolo di gran cuore o batto le mani e dico bravo davvero!

Tu non ignori al certo il movente della festa di iersera che è lo stesso di quello della precedente del 24. Senonché mi sembra che in quella fosse bensì clamorosa la espressione della gioia, ma, appunto per questo, mancando il raccoglimento, dovesse mancarvi l'elemento più ingenito dell'affetto, svaporato tutto al di fuori. Invece, in questa ultima, non clamori, ma trovi ad esuberanza la efficacia, tantoppiù sentita quantoppiù raccolta, d'un intima soddisfazione, quella, di aver seco a banchetto il proprio concittadino, di fare alla pari con lui, e senza ritrosia, col cuore in mano. E, tra lo alternarsi delle vivande e dei bicchieri, tra lo scocco delle arguzie dell'uno, e lo scintillio degli occhi dell'altro, oh come godevo io, volgendo assiduo lo sguardo fra i cinquanta o più commensali, e numerando in ognuno la stessa vivacità di sentire, espressa, nonché agii occhi, nello parole, nel gesto, in tutto. Quando, sul finire, al suono dell'inno brillantemente intonato da questa Banda Municipale, e dopo le sentite parole di ricambio profferte dall'egregio Eletto, balzò unanime da tutt’i cuori un urrà di gioia, acclamante alla circostanza; ti dico il vero che mi sentii tratto ad applaudire quella bella testimonianza cittadina che, affratellando gli animi, generava il conforto della virtù e del patriottismo. Ed io penso che non possa perire nell'ignavia un popolo che sente bene di sé ed ha l'orgoglio del luogo natale, che, come oggi acclama il proprio concittadino, domani saprebbe levarsi ardito o compatto contro lo straniero che ne minacciasse le sostanze della vita e l'onore delle spose e dei figli.

Non ti ho accennato ai discorsi che furono parecchi e buoni; disse primo lo onorando Direttore del Garopoli, e, successivamente, l'ex onor. Tocci, il Dott. Patari, il Sig. Mauro da Rossano; il tutto coronato da una briosa poesia del bravo giovine letterato Signor Alfonso Compagna, fratello al Deputato.

Al quale è soverchio ripetere ciò che oramai si sa da tutti; che, cioè, queste manifestazioni, uscendo dall'ordinario della vita, hanno intanto un significato, in quanto alla festa dell'oggi debba rispondere lo appagamento del domani. E, se si pensa come è fin qui scarsa l'importanza dei nostri rappresentanti, in confronto a provincie limitrofe, quanta non dev'essere la solerzia dei nuovi eletti a redimerci da tale decadenza?

Si giudichi.

Tuo

P. Gallerano

COLLEGIO ITALO-GRECO

(S. Demetrio Corone)

In uno degli ultimi N. del Calabrese, di Cosenza, leggemmo, con piacere, un ordine del giorno della Società operaia di S. Demetrio Corone, per l'opera egregia che il Cav. prof. Domenico Failla spende, per incarico del Ministero, a pro delle riforme di quel Collegio; e la risposta fattale dall'Ill.mo Commissario.

Quei due documenti provano, splendidamente, due cose: la necessità, generalmente intesa e reclamata, delle riforme radicali del Collegio; e le più belle ed oneste intenzioni del prof. Failla. Noi, per debito di pubblicisti, godiamo, dal fondo dell'anima, e dell'iniziativa presa dai buoni Albanesi, operai, di S. Demetrio, i quali, con modesto linguaggio, propugnano la più santa delle cause; e ringraziamo, pieni di ammirazione, il prof. Failla, che non solo ha capito il male onde è roso quell'Istituto, ma anche é, fermamente, risoluto di apportarvi rimedio. E, ad onore del vero, ci piace affermare che l'egregio uomo, nella sua dimora in S. Demetrio, sia tutto occupato a far conti, a rivedere i già dati; a provvedevo alle finanze, davvero botte delle Danaidi; a porre termine a liti e cause iniziate; a visitare quei latifondi, in più punti danneggiati; ad ispezionare quelle scuole. Proprio così Il Cav. Failla; se Ella non avrà tutto visto co' propri occhi e toccato con mano, è impossibile fare il bene, che s'impromettono dalla Sua opera gli Albanesi e tutti i buoni.

Avendo sottocchio i conti del Collegio, vedrà quale pietoso sistema si teneva nell'amministrazione; e le tranellerie verranno fuori liscie come un giunco; visitando quelle scuole, ammirerà il metodo di certi scagnozzi, messi a farla da insegnanti, solo per merito di simpatia e di asinaggine; giacché avrà a scorgere come lì si campi sull'asse ereditario de' vecchi scartafacci e de' polverosi calascioni. E, finalmente, gittando l'occhio attorno alle camerate, sarà colto da raccapriccio in vedere come la disciplina sia nulla o peggio, per essere affidala agli stessi giovani, i quali, in balia di so stessi, si danno a' vizii, e corrompono l'animo con le strane letture, con la vita sregolata, con la derisione di ogni principio di ordine. E pure, sappia, Ill.mo sig. Cav., che i giovani del Collegio sono capaci di grandi cose, e per l'ingegno e per la natura poetica che li circonda; prova i belli risultati avuti, mai sempre, negli esami di Licenza ginnasiale e liceale. — Quanto di meglio non farebbero essi, se fossero, coscienziosamente, guidati, educati ed istruiti?

Ma che più dire, quando Ella, nella sua risposta alla Società operaia di S. Demetrio, ha dimostrato di avere, così bene, compreso tutto? Faccia, dunque, e, se il bene è trionfo, come Ella disse, sul male, la libertà è larga dispensiera di pubblica educazione e coltura; ecco che si vuole da Lei, con le radicali riforme del Collegio. La sua opera, Ill.mo sig. Cav. rimarrà immortale;ed il bene, indarno finora reclamato dagli Albanesi, solo, per Sua cooperazione, sarà fatto compiuto. 

 

CRISI MUNICIPALE

Da qualche tempo erasi manifestato un positivo disaccordo tra il nostro Consiglio Comunale ed il Capo dell'amministrazione, disaccordo che si manifestò con un voto di sfiducia nella seduta del 24 Aprile ultimo, se non erriamo. Ad esso tenne dietro la dimissione dell'intera Giunta, senza essersi più riuscito a comporne una nuova, per la persistente volontà della maggioranza del Consiglio a voler anche le dimissioni del signor Sindaco.

Intanto, col treno delle 7 p. m. del giorno 11, giungeva fra noi l'egregio Sottoprefetto del Circondario, recandosi direttamente al Palazzo Municipale, nel quale era stabilita per la medesima ora una riunione straordinaria del Consiglio. Alle 8 infatti questo era in numero, ed aperta la seduta, dopo brevi parole del Sindaco Sig. De Rosis, prese a parlare il prelodato Sig. Sottoprefetto.

Egli deplorò dapprima l'attuale crisi del nostro Municipio, ed espresse il desiderio di vederla eliminata per il bene del paese, per quello degli amministratori e pel decoro istesso del Consiglio. Il continuare nella vostra astensione, egli concludeva, sarebbe un’aperta ribellione alla suprema autorità del Governo; invito perciò tutti a riprendere i lavori del Consiglio; esponendo in un’ampia discussione le irregolarità rilevate nell’andamento dell’amministrazione.

Ottenuta la parola il Consigliere  Sig. Terzi, domandava spiegazione al Sig. Sottoprefetto sul significalo della parola ribellione dallo stesso adoperata, non essendovi alcuno nel Consiglio che avesse inteso mai ribellarsi all'Autorità costituita.

Dopo uno scambio di parole e d’idee, il Consigliere Sig. De Gaudio, presentava, anche a nome di altri suoi amici un ordine del giorno, concordato nel giorno innanzi e firmato da 12 Consiglieri, nel quale si dichiarava che il Consiglio, rinnovando il precedente voto di sfiducia verso il Sindaco, non sarebbe passato alla trattazione di alcuno affare, fino a che lo stesso fosse stato al suo posto.

Il Sig. Sottoprefetto faceva allora rilevare la inopportunità di quell’ordine del giorno, il quale non avrebbe potuto avere, secondo lui, un maggior valore delle precedenti deliberazioni dì sfiducia, state tutte annullate per mancanza di fondati motivi.

Surse allora di nuovo il Consigliere Sig. Terzi ad accusare il Sindaco di aver fatto alcun che d'irregolare, non deliberato dalla Giunta o dal Consiglio.

Poi il Consigliere Sig. Spezzano Gioacchino, pur rispettando la onorabilità e l'intelligenza del Sig. De Rosis, disse doverlo, qual Sindaco, accusare di assolutismo per aver tutto accentrato a sè, esautorando la Giunta e le diverse Commissioni.

Ad essi rispondeva il Sig. Sindaco e, Bilancio e verbali alle mani, dimostrò di non aver mai fatto cosa non deliberata dal Consiglio o dalla Giunta, fosse pur trattato di una sola lira di elargizione ai poveri — Disse che in circa duemila deliberazioni non erasi levato in dispiacere con la Giunta che in pochissimi casi, ed ossequente alla maggioranza della stessa, ne avea eseguite le deliberazioni, come eseguite furono egualmente tutte quelle dal Consiglio — Disse inoltre che non potea chiamarsi accentratore quel Sindaco che, come lui, avea conferite tutte le sue facoltà amministrative agli Assessori, riponendo solo per sé la pubblica istruzione. Interpellava poi sul riguardo gli stessi assessori dimissionari Signori Fino, Milano e Garetti, e tutti assentirono a quel che il Sindaco avea detto; anzi il Garetti soggiungeva che in quest'ultimo periodo l'Amministrazione Comunale andava proprio bene.

Eppure in questo periodo fu dato il voto di sfiducia all'intera Amministrazione!

Si ritornava intanto alla carica, e con maggior vigore, e dal Sig. Terzi, e dall’assessore Sig. Garetti, e si parlò di lavori fatti eseguire, da più tempo, dal Sindaco in amministrazione, per somme cedenti le L. 500. Si andò poi al progetto del Bilancio 1885, compilato nel 1884 ed attribuito all'attuale Sindaco; bilancio poco solido con le previsioni che non corrisposero alla realtà degli esiti e degl'introiti.

Ed il Sindaco a sua volta faceva osservare che nell'autunno del 1884 egli non era che un semplice Assessore; che il progetto di quel Bilancio fu opera di quella Giunta, e la sua approvazione del Consiglio; che le opere pubbliche eseguite erano nei limiti del Bilancio e consistenti quasi tutte in restauri di pubblici uffizi — Tali opere tutte, egli soggiunse con calore, non eccedono le lire diecimila, e certo non me l'ho messe in tasca; son opere che ridondano a maggior lustro della città, a maggior comodo dei cittadini. Del danaro comunale se n’è sciupato abbastanza in altri campi, e prova ne sia il Camposanto, il Consorzio del Malfrancati e la Strada Montagna.

A questo punto il pubblico, che numeroso vi assisteva, proruppe in ripetuti viva al Sindaco.

Quindi l'aria si andò sempre più intorbidando: l'ex Assessore Garetti apostrofò nuovamente il Sindaco, e non mancarono anche a lui degli applausi, altri Consiglieri rumoreggiavano; altri, con poca moderazione, sfidarono il pubblico con insulti!

Finalmente, ritornata un po' di calma, il Sig. Sottoprefetto, che avea più volte preso parte alla discussione, fatto un ultimo appello alla concordia, anche per evitare un grave danno all’azienda comunale, pregò il Presidente di consultare il Consiglio se intendeva, o pur no, di passare alla discussione degli affari segnati nell’ordine del giorno.

Per appello nominale  risposero no, 13 Consiglieri, e si soltanto i Sig. De Vulcanis, Milano e Calbrese.

La seduta fu sciolta alle 11.

Fin  qui non abbiamo fatto che il semplice resoconto della seduta; essendoci proposti di lasciarne gli apprezzamenti ai lettori. Ad alcuni però che ci han voluti qualificare partigiani del Sindaco, diciamo che i nostri precedenti ci giustificano. Se abbiamo deplorato, come deploriamo, l'attuale crisi, lo è nell'interesse del paese, che sarà sempre il terzo pagatore. Né ci dispiace solo il danno finanziario del Comune, ma più di tutto il danno morale.

Son noti nell'istoria antica o moderna i tristi effetti della discordia o dei partiti in un paese. E con dolore cominciamo a vedere che la poca temperanza di alcuni getta il seme dei dissidi tra persone e famiglie vissute finora nella più schietta e sincera amicizia. 

Confidiamo intanto nel senno o nella concordia dei cittadini, ed in un migliore avvenire del paese.

 

AMENITA’

Certi di fare cosa grata ai nostri lettori operai, pubblichiamo qui appresso un'altra lettera del noto Priscischio.

 

Caru Diritturu,

Iu nun v'avera di scriviri chiù, pirchi m'aviti fattu na cosa che nun mi l’aspittava— vi avia cunfidato nu secretu, e vui mi ni aviti fatta na pubbricità culu Populano! Ma mò cumu è juta è juta; chillu chi avia dintru dì mia si è avviratu, e D. Gninnaro nuostru è statu fattu Diputatu. _E chistu pi lu paisi è statu nu veru piaciri; illi suni genti granni e, si vonu, alcun beni lu ponnu fari chiù di nautru, e nui n’amu vistu subitu l’effettu. Vi pare pocu fari macinari franchi a lu mulinu a vapuri, pi chiù di nu misi tutta la popolazione? E pu quanta limosina nun ha fatta; e quantu beni non facera, si nun ci fussiru li mali agenti chi lu scunsiglinu. Ma lassami stari sti cosi e jamu avanti.

Si, jami avanti, pirchì haji tanti cosi di vi diri; ma pu … chi sacciu… non tutta si po’ diri, massimu a lu paisi nuostru, cu tutti sti quistioni e sti partiti. Ma … va tieni lu carru a la pinninata. Iu staiu mienzu a lu populu, e sientu tuttu, e mo vena chillu chi parra malu di lu Sinnicu, mo nautru chi duna tuortu a lu Cunsigliu, e ti guastanu propriu la fantasia. Vui forsi vulissivi sapiri chillu chi ni piensu iu; ma lu poviru Priscischio chi vi po diri? Lu tuortu veru nun sacciu di chiniu sia; ma sta pinsata di li Cunsiglieri nun mi para bona. Vulimi essiri, e nun vulimi fari nenti si nun sini va lu Sinnucu. E quannu nun si ni vo jiri illu, pirchì nun vi ni jati vui? Vui vuliti aviri a capa tosta, e vuliti fari suffriru nu paisi nteru.

Ma pu iu mi raffiguru ca lu Sinnucu cu lu Cunsigliu è cumu lu re cu li Diputati. Li Diputati su chilli chi fani tuttu e lu Re nun cintra di nenti. Duncu, si u Cunsigliu vo nun è lu Sinnicu chi li po mpidiri di fari lu beni, si veramenti vulissiri fari beni.

E di sti quote vui chi ni pinsati? Picchissi c’è puri na cunfusiona chi ni fa perdiri propria la capa! Vo stari buono chillu chi ci curpa, fusse pure lu Liuni di Musè.

Iu l’avia avutu, a mala pena, su piezzariellu di terra pitrusa a la muntagna; nun era bona, ma pure ci passava lu tiempu, è quannu nun avia autra fatica ci zappava, e a forza di zappate iu mi l’avia mienzu cunzata. E mo, dopu tanti anni, vi pare bona di n’esseri cacciatu? Chisti su cose chi si vidinu sulu a stu paisi ngratu! Cà lu sapimi, chillu chi arrobba è prutettu, e l’uomini onesti su mali viruti e pirsiguitati. A chilli chi li terre si li piglianu suli, lu Consigliu ci l’ha lassati e ci li lassa; a nui che ci l’ha dati la legge, ci li vonu livari - U chi giustizia bella!- E pirchì nun ci mintiri armenu a pari di li latri e d’i briganti? – Ma no…chisti hannu sempre chi li pruteggia, e li fannu pigliari nun sulu li terre, ma li fanu stari guardiani a la muntagna e pi pocu nun l’annu assignata na misata di lu Cumunu e datu la turra di lu vuoscu di l’acqua, pi premiu di tutti li birbanterie che dintru a chillu vuoscu avianu fattu! U vrigogna e cientu vote … vrigogna! A chisti cose lu Cunsigliu aveva di pinsari, picchì su cose che urtanu li niervi.

Ma mo, Diritturu miu, vai siccatu assai; scusati li chiacchiere, e a rivederci quannu sarà tiempu di ci vidiri.

       Di na rosicella di Curglianu, 8 Giugno 1886

Lu Servu Vuostru

 

Priscischio

ONOREFICENZE

É con vivo gradimento che annnunziamo ai nostri lettori la nuova distinzione toccata all’insigne Prof. Luigi Paìma, gloria del nostro paese e d'Italia, occupante già la cattedra di Diritto costituzionale in Roma; ora, con recente decreto chiamato a sedere membro del Consiglio Superiore d'Istruzione Pubblica.

Se questa non è che giusta retribuzione al merito, è pur sempre un vanto per ogni calabrese che abbia a cuore ed affetto di patria.

Contemporaneamente al Prof. Palma, anche lo Zumpino da Cosenza, Prof. di lettere italiano nell’Università di Napoli, dopo la morte del Settembrini, ha raggiunto, poi suoi noti pregi di letterato e critico, lo stesso meritato ascenso.  Rileviamo con piacere dal Corriere del Mattino.

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«Sappiamo che con decreto 30 maggio ultimo il comm. Morelli, eletto deputato al collegio di Castrovillari, è stato nominato grande ufficiale dell'ordine della Corona d'Italia; onorificenza che gli venne conferita dopo accolta la sua domanda di collocamento a riposo da consigliere di Stato, alla quale carica era stato nominato con decreto 29 aprile ult.

Questa dimissione onora il comm. Morelli e deve essere apprezzata dai suoi elettori perché, eletto deputato, ha sentito il bisogno di presentarsi alla Camera con una posizione indipendente»

 

COSE DI ROSSANO

Par contentare il nostro Ioseph pubblichiamo questa sua corrispondenza, quantunque possa parere ai lettori molto ritardata. La colpa non è stata nostra; se la prendano col movimento elettorale che ha sempre assorbito il Popolano cui non ha permesso di occuparsi di cose... non politiche. Ma Ioseph di politica se ne è occupato sulla Sinistra.

 

Rossano 9 maggio…

« L'omicidio, che i Romani appellarono singolare et nefarium facinus, non ha mestieri di dimostrazione per essere riconosciuto come alcun che di contraddittorio alla santità del Dritto; che anzi, paragonato agli altri malefizi contro l’individuo, può dirsi il più grave tra tutti, contenendo la violazione di quel dritto dì esistenza individuale che vince tutti gli altri, come fondamento materiale della personalità stessa dello individuo».  Tali stupendi pensieri scrive l’illustre giureconsulto on. Pessina riguardo all'omicidio volontario.

Ma quanto non dobbiamo rimanere maggiormente inorriditi, se quest’atto brutale si perpetri contro l'essere che ci ha messo al mondo; che per darci la vita ha dovuto soffrire i più atroci dolori; che ci ha nutriti col sangue del suo sangue; che ha sospirato di contentezza ad ogni nostro bacio, ad ogni nostra carezza; che ci ha visto crescer su negli anni, guidati sempre dalle sue cure amorose; che si è moltiplicata per prevenire e soddisfare ogni nostro desiderio? Contro l'essere che tremò di spavento ad ogni nostro pericolo, che fu, insomma, la nostra più sicura compagna, la nostra migliore amica? Eppure di tanta malvagità non ha paventato insozzarsi un miserabile! Eccovi com’è andato il fatto.

Certo Bruno Straface, al servizio del marchese Martucci, in occasione del suo matrimonio, ebbe dalla propria madre Barbara Grillo, 120 ducati, come parte a lui spettata dall’eredità paterna. Per rendersi più deliziosa e dolce la luna di miele, spendeva e spandeva a larghe mani, finché gli toccò la sorte degli scialacquoni e buontemponi, la qual sorte inesorabilmente lo ridusse ben presto al verde.

Egli allora, con intenzioni interamente opposte a quelle del biblico figliuol prodigo, odorato che la madre, più previdente di lui, teneva in serbo 340 lire, pensò di farle fare cassa netta, e gliele chiese a prestito. La Grillo esaudì le richieste del figlio, fidando nelle di lui promesse di restituzione. Ma mutano i savii col mutar de' tempi, e lo Straface, dato di fondo a quell'altra sommetta, dimenticò ch'era debitore verso la propria madre, e fece sempre orecchie da mercante alle replicate istanze che lei gli faceva per aversi restituito il suo denaro. Ma quando essa vide che tutte le dolci parole, tutte le più calde preghiere non potevano indurlo a soddisfarla, quando si accorse che prender lui colle buone era come il lavar la testa all'asino, che anzi ad ogni richiesta egli l’accoglieva con modi sgarbati e la minacciava del bastone, allora ella pensò di ricorrere alla Giustizia.

La Grillo non aveva pruove di aver prestato le lire 340 al figlio, che per sole lire 30, e per questa somma lo citò innanzi al giudizio del Conciliatore. Discussesi la causa, il magistrato adito emise, il 29 dello scorso aprile, sentenza colla quale, in contumacia dello Strafece, fece dritto alla domanda della Grillo.

Adirato di ciò lo Straface, ruminò dentro di sé i più atroci pensieri, e risoluto di metterli, ad ogni costo, in atto, si recò a Crosia, in casa della madre che stava in compagnia di suo fratello Francesco Grillo. Giunto presso di lei, incominciò ad ingiuriarla e poscia, dimenticati i più sani vincoli del sangue, i suoi doveri di figlio, messo da parte ogni sentimento di umanità e di rispetto verso colei che lo aveva fino allora amato di un amore, che intendere non può chi non è madre, gettate lungi da sé le spoglie di animale ragionevole, ed indossate quelle del bruto, trasse di tasca un coltello e ferito il Francesco Grillo che era accorso in aiuto della sorella, colpì per ben tre volte la povera donna, la madre sua, rendendola all’istante cadavere.

Consumato tanto orrendo delitto, il novello Caino fuggì, mentre che il sangue versato gridava contro di lui vendetta.

Questo fatto è un’altra conferma alle asserzioni di quegli scrittori che dicono essere in Italia le province meridionali, quelle che son proclive ai reati di sangue. E l’egregio avv. Barzilai, in un suo libro di recente pubblicazione «La criminalità in Italia» nel rilevare che dall’ultima statistica appare che le Calabrie ed il Distretto di Napoli offrono il maximum della delinquenza nel nostro regno, dice che cause principali di sì sconfortante risultato sono la ignoranza, la poco cura della famiglia e la corruzione delle masse.

Verità cruda, sì, ma vera.

Ci pensino, perciò, coloro che sono nel dritto e nel dovere, di togliere il nostro popolo dall’ignoranza cui è stato sempre impantanato. Educhino il suo cuore ai sentimenti del giusto e dell'onesto; gli spieghino la nobile missione dell’uomo, e vedranno che il brigante calabrese sparirà dalla storia per prendere posto nei racconti dell'Orco e nelle altre leggende, parto della fantasia del volgo.

 

            Giuseppe Rizzo (Ioseph)

 

COSE  NOSTRE

Abbiamo saputo con piacere da un nostro amico che il sig. Terzi ha fatto dono al Prof. Zumpini di pochi ma bellissimi ed originali versi calabresi con note ed appunti, raccolti, nella libera campagna, sulle labbra dei nostri contadini, ai quali il Terzi vuole tanto bene. Noi, nel far voti che la poesia popolare incontri ogni giorno nuovi e giovani cultori, speriamo di leggere presto quei versi in una prossima pubblicazione dell’illustre Prof. della R. Univer. dì Napoli.

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Sabato ultimo, trovandosi qui l'egregio Sottoprefetto del Circondario, e volendo attestare in sua simpatia alla nostra Società Operaia, si recò di persona nella sede di detta Società, e tenne un opportuno discorso, nel quale amò sopra tutto inculcare ai suoi soci l'assiduità del lavoro e la necessaria solidarietà tra essi.

Prendendo commiato disse essere disposto a cooperarsi, semprecché occorresse in bene dei sodalizi operai, le cui sorti vanno sempreppiù migliorando.

Dal canto nostro, ringraziandolo, siamo lieti di rilevare questo atto gentile dell'egregio Sottoprefetto dei Circondario.

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L'ottimo nostro Pretore Cav. Antonio Caputi, con recente Decreto è stato traslocato nella Pretura di Pizzo.

Questo tramutamento inopinato ha fatto una penosissima impressione in tutta la cittadinanza che avea ormai riconosciuto nel Cav. Caputi un distinto gentiluomo ed un magistrato integerrimo. Fece ancora più pena la voce corsa di essere stato tale tramutamento l’effetto di raggiri elettorali, mentre si sa da tutti che egli, nelle passate elezioni, si mantenne estraneo alla lotta, lontano dai partiti. Questa voce vien confermata dalla nuova residenza assegnatagli, la quale, non corrisponde punto a quella di Corigliano.

Ci auguriamo quindi, che, con l'animo rasserenato, il Ministro Taiani, se non può fare restare qui stesso il Caputi, lo mandi almeno in un Capoluogo di Circondario od in altra Pretura degna di lui.

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Verso le 4 p. m, di Lunedì ultimo, un incendio sì sviluppò in una casa del sig. V. Romanello, abitata dal sig. Luigi Marchese, devastando ogni cosa e producendo un danno di quasi cinque mila lire.

Il caso è cosi grave che esigerebbe un appello alla filantropia cittadina.

Si distinsero bravamente il carabiniere M. Sportella e il cittadino muratore Alfonso Bellucci. Un bravo di tutto cuore.

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GINNASIO-CONVITTO PRINCIPE DI NAPOLI

In S. Severina

Ricercansi, per il prossimo anno scolastico, tre istitutori o prefetti di Camerata, con l'annuo stipendio di Lire 400, oltre vitto ed alloggio.

Titoli: Licenza ginnasiale o tecnica,o patente normale, o altro titolo che comprovi una discreta coltura e capacità necessaria per adempiere l’uffizio su detto.

Rivolgere domanda al Direttore dell'Istituto, sig. G.A. Vinacci, in S. Severina (Crotone), e nel più breve termine possibile.

Direttore respons. Francesco Dragosei

 

Corigliano Calabro – Tip. Del Popolano

Il Popolano n. 13 del 3 luglio 1886

Il Popolano n. 15 del 31 luglio 1886

Il Popolano n. 19 del 2 ottobre 1886

Il Popolano n. 20 del 14 ottobre 1886

Il Popolano n. 21 del 5 novenbre 1886

Il Popolano n. 22 del 19 novembre 1886

Il Popolano n. 23 del 4 dicembre 1886