PREFAZIONE

 

Gentile lettore, le pagine di questo libro sono dedicate ai miei ricordi, ancora vividi e indelebili, che, nonostante il trascorrere delle numerose stagioni, restano, per fortuna, ben custoditi dentro lo scrigno della memoria del veliero della mia vita, talvolta, ormeggiato sulla spiaggia del tempo.

Sono i ricordi di un anno particolare, il 1963, riguardante la “mia” città, quando il dio denaro si apprestava ad entrare anche nelle nostre case, piccole e accoglienti, dagli intensi e naturali profumi della povertà, ma ricche di dignità e speranza, rinfrescate d’estate dalla leggera brezza dell’amicizia e della condivisione, mentre d’inverno erano riscaldate dal calore del sentimento umano.  

Ogni evento, allora, sembrava che fosse partorito dalle menti sane di uomini onesti e laboriosi, che, con abnegazione e un profondo senso della comunità, contribuivano, con il sudore della fronte e con le mani incallite dalla fatica, non solo a dare ai loro figli un buon futuro, ma anche ad elevare, con perseveranza e tanto amore, l’immagine della nostra città: Corigliano Calabro.

Con i primi anni ’60, le onde alte di un mare in continua tempesta, che si infrangevano con forza contro gli scogli della “miseria”, stavano per iniziare a placarsi, rendendo più azzurre e cristalline le acque della speranza anche per noi ragazzi, nati qualche anno dopo il secondo conflitto mondiale ed educati ad avere “poco” o, a volte, anche “nulla”, senza mai manifestare alcun disappunto.

Ogni tanto ci bastava una sola moneta (cento lire) con l’antica divinità italica (Minerva), o poco più, per toccare col dito il tetto della felicità.

Infatti, quella moneta con la dea romana, appoggiata stanca ad un albero d’ulivo, ci dava la possibilità di vedere un film (a volte anche due) al Cinema Moderno o al Cinema Comunale o apprezzare, insieme agli amici, la bontà delle paste ripiene di crema di alta qualità del Bar Gatto Bianco o del Bar Moderno.

Ed eravamo felici.

Forse, anche per questo adesso mi ritrovo a consegnare a questi fogli, inumiditi dalla leggera rugiada della memoria, alcuni frammenti di quell’anno, noto alla storia, soprattutto, per la scomparsa del “Papa Buono” (Papa Giovanni XXIII), per l’assassinio del Presidente John Kennedy e per quella famosa frase pronunciata da Martin Luther king: I have a dream.

Di questi ricordi, ancora oggi, caldi e fragranti come il pane appena sfornato, conservati nell’antica credenza del cuore, il più importante, perché coinvolgeva non solo gli sportivi, ma quasi tutti i miei concittadini, resta la nascita di una grande e importante società sportiva: la Polisportiva Corigliano.

Era l’ultimo mercoledì del mese di ottobre del 1963, quando un uomo generoso, dall’animo nobile, venuto da lontano (oltreoceano), convinceva alcuni suoi amici a mettere in piedi la suddetta società calcistica. Così, dopo anni di inutili attese e di continui rinvii, finalmente si realizzava un sogno per l’antica città degli Ausoni, quello di trasformare le tranquille giornate dedicate, di solito, alla famiglia, ma anche quelle da solo in un cortile a passeggiar, in giornate vivaci e intense, dai colori biancazzurri (quelli della nostra squadra di calcio).

Questo fresco e piacevole venticello risvegliava anche il mio animo, per cui, appena tredicenne, non mi sottraevo a partecipare a questi appuntamenti domenicali con grande fervore e, soprattutto, con lodevole dispendio di energie nel realizzare banner e bandiere per i nostri campioni.

 Pertanto, quella moneta con l’antica divinità italica, insieme ad un’altra dello stesso valore, cambiava destinazione, preferendo ai due teatri cinematografici (Moderno e Comunale) quello all’aperto in contrada Cardame (campo sportivo di Corigliano), dove ben 22 giovani, forti e vigorosi, sotto lo sguardo vigile di un uomo vestito di nero, correvano dietro una “capricciosa” sfera di cuoio, suscitando entusiasmi collettivi indescrivibili.

Grazie per l’attenzione e buona lettura.

 

   Giovanni Scorzafave

 

 

 

PRESENTAZIONE

 

di Giuseppe De Rosis

 

Ancora lui? Ancora un suo libro? Ma quanto scrive Giovanni Scorzafave!

La voce - per quanto lontana - la riconosci, perché proviene, dati per scontati gli invidiosi, da chi è intrappolato in un perenne hic et nunc, da chi archivia tutto subito, convinto che vale solo il presente, che, invece, non fa in tempo a presentarsi che è già passato.

Rubo una frase ad un mio amico: “ma vai a dire a un vento impetuoso di non incunearsi negli anfratti…”.

Mutatis mutandis, vale per il nostro autore, che con quest’ultima fatica da un lato si sintonizza sui lavori precedenti e dall’altro evidenzia non una frattura, ma una diversità “arricchente”, perché questo volume è un angolo complementare rispetto alla precedente produzione, un altro respiro della stessa anima.

È sempre l’amore per il borgo natio, sempre l’urgenza del recupero di un passato che potrebbe sbiadirsi, sempre la convinzione che il popolo che ha memorie dorme il sonno del leone, sempre il desiderio di fermare sul tapis roulant del tempo emozioni, volti, affetti, a spingere la penna di Giovanni a riempire il foglio bianco, ma questa volta, almeno per me, è come un film, che ti riporta al tempo in cui eri garzoncello scherzoso, tempo scandito da valori autentici anche nel mondo del pallone, purtroppo oggi sacrificati sull’altare pagano dell’egoismo, dell’interesse, della forza. Un sogno ad occhi aperti: mentre le pagine scorrono, ritrovi la tua storia e quella di una generazione, capace di amare e di amarsi, incastoni quei frammenti nel loro tempo.

 Recuperare altri momenti del passato, impedire che vengano cancellati dalla salsedine del tempo, consegnarli alle future generazioni, come perenne incentivo ad una rifondazione dell’umanità, che guarda al passato con nostalgia, ma anche con la coscienza di quanto il passato può darci ancora, anche questo è un aspetto importante del testo.  Pertanto non un lavoro consumistico, evasivo, quasi a scopo geriatrico (absit iniuria verbis), ma un lavoro che nella levitas dell’argomento ripropone temi essenziali del vivere e non tacita (sono frequenti le tirate dell’autore) il rapporto con la contemporaneità