Correva l'anno 1513

Il 19 gennaio 1513

Corigliano diviene il centro del mondo, almeno del mondo cattolico, il 19 gennaio 1513. In questo giorno, si svolge in Corigliano l’ultima seduta del Processo Cosentino, ordinato da Giulio II con Breve del 13 maggio 1512, al fine di raccogliere informazioni utili e decisive sulla vita, le virtù e i miracoli di frate Francesco di Paola. L’incarico di portare avanti il Processo, in qualità di Commissario Apostolico, viene affidato al vescovo di Cariati, Giovanni Sersale, coadiuvato dal cantore della Chiesa Maggiore di Cosenza. A Corigliano, durante l’unica seduta del 19 gennaio 1513, le testimonianze giurate dei due testi interrogati vengono raccolte, in qualità di notaio, dall’arcidiacono di Cariati, Nicola de Sproverio, il quale riporta fedelmente, e in idioma calabro, le deposizioni di Nicola Castagnaro (teste n. 101) e di Luigi Romeo (teste n. 102), ambedue coriglianesi.

Il nobile Nicola Castagnaro riferisce circa due momenti fondamentali vissuti da Francesco in Corigliano (1476-1478). Il primo episodio riguarda il luogo su cui edificare la chiesa ed il con-vento. Per portare avanti i lavori, c’è bisogno di una fornace in cui sciogliere la calce. Il frate si reca in un luogo in cui non esistono pietre di calce. Gli abitanti del luogo gli riferiscono che quel sito non ha mai rivelato la presenza di tali pietre. Francesco, dopo la preghiera al Signore, ordina agli operai: Scavate qui e il Signore provvederà al resto. Allo scavo segue l’estrazione di una quantità di pietre di calce sufficiente per edificare la chiesa e la quarta casa del Paolano in Calabria. Il secondo episodio è relativo all’acquedotto che frate Francesco fa costruire per portare l’acqua al costruendo cenobio e alla Città. Lavorano all’opera più di trecento uomini. Francesco li vuole premiare per la loro laboriosità. Toglie dal saio pochi fichi e, dopo la preghiera, sfama tutti i trecento operai. A lui, comunque, resta ancora qualche fico. Il Castagnaro, infine, riferisce che Francesco più volte aveva predetto, circa trent’anni prima, molti avvenimenti che sarebbero, poi, effettivamente accaduti nel Regno di Napoli.

Il secondo teste, Luigi Romeo, parla inizialmente del miracolo dell’acqua, portata da Francesco in Corigliano da una sorgente distante circa quattro miglia dal borgo cittadino. Durante i lavori, due donne portano due pizze ad alcuni gentiluomini che aiutano Francesco. Il frate, momentaneamente assente, quando fa ritorno sul luogo dei lavori, redarguisce i suddetti signori, perché hanno pensato solo a soddisfare i loro bisogni, ma non si sono curati degli operai presenti. Poiché i beni di Dio sono per tutti, Francesco prende quel po’ che rimane di una pizza e lo distribuisce ai trenta operai che lavorano nel luogo e …tutti li saziò. Infine, Luigi Romeo, proprietario e donatore del terreno su cui verrà edificata la chiesa, riferisce che Francesco, dopo aver bene osservato il sito, ordina ai suoi fraticelli di iniziare a scavare le fondamenta dell’edificio su di un’area che a lui sembra più idonea di altre. Durante lo scavo, vengono alla luce un antico sepolcro e una muraglia. Col le pietre di tale muraglia viene edificata la chiesa.

Le deposizioni giurate dei due testi coriglianesi, oltre al valore intrinseco, legato all’accelerazione dei tempi del Processo di Canonizzazione del Paolano, hanno, ancora, sicuramente una triplice importanza. La prima è di natura linguistica e concerne la trascrizione delle deposizioni di tutti i testimoni del Processo Cosentino. Le trascrizioni, fedelmente annotate dal notaio Nicola de Sproverio, sono in lingua volgare e, perciò, assumono il valore di prezioso documento della ‘parlata calabra’ di quell’epoca. La seconda è di carattere squisitamente religioso. I miracoli, ottenuti da Francesco, mettono in evidenza il suo amore per i semplici e i poveri e la sua fede senza confini nella volontà del Signore. La terza riguarda la storia locale. La presenza di frate Francesco e il suo spirito di carità hanno spesso permeato, nel corso dei secoli, l’animo della comunità coriglianese, chiamata a mettere al centro delle proprie scelte quel Cor Bonum, cui fa esplicito riferimento l’emblema del Municipio della Città. Un privilegio, la presenza di Francesco in Corigliano, che è, dunque, per ognuno richiamo alla carità, alla laboriosità e al bene comune.

Enzo Cumino

 

(VeteraNova Gennaio 2016)