Correva l'anno 1796

Giornale sull’origine de’disgusti accaduti

tra il signor Duca ed i principali Cittadini

di Corigliano

 

Nemo Sanae mentis existimabit eum

In culpa esse, si quae infeliciter,

 aut stulte gesta sunt,

narrabit,si quidem

talium non est

auctori, sed

nunciator

 

Lucian. § 39

 

[1]Venne don Giacomo Salluzzo duca di Corigliano ne’suoi feudi, e propriamente in Santo Mauro a 12 febbraio 1796, dove fu generalmente visitato da tutti. Dopo qualche tempo si portò in Corigliano, e fu accompagnato da tutti i galantuomini di questa città a cavallo nel Castello, essendosi fatte quivi trovare molte gentildonne per ossequiare tanto il Duca, che la Duchessa donna Maria Antonia Orsini sua consorte, e la sera dello stesso giorno se ne ritornarono < nel palazzo del Pendino>[1]. Elasso altro spazio di tempo il Duca fece nuovamente ritorno al Castello, ove fissò la sua dimora di unita colla signora Duchessa. Non vi fu persona che non fosse andata a riverirlo tanto di galantuomini che di nulla essendo valute queste, e dubitando Schiavone della vita, si ritirò sollecitamente nella Badia, luogo di sua residenza, e chiese alla Regia Udienza una squadra di soldati per accompagnarlo, che essendoli stata negata, il giorno 15 si ritirò in San Demetrio.

    Dopo accadute tali cose il Duca fece spedire in R. C. provisioni quali osservate in Regia Udienza, per mezzo di un subalterno qui giunto a 16 di detto mese, a suono di tamburro furono notificate a’ particolari cittadini, che per l’elezione del sindico comparissero in R. C., e nel // [8] ritorno in Cosenza notificò anche Schiavone, che non si fosse più ingerito in tal elezione; ma Schiavone si era già partito, come di sopra abbiamo detto.

    Restò il sigillo nuovam

gentildonne, e si stava da ambe le parti in perfetta pace, sebbene l’animi erano irritati per le cause civili, che vertevano tra il barone e cittadini tanto della gabella della farina, o sia carlino //[2] a tumolo, quanto della buona tenenza, ed erano stati a tal uopo destinati in pubblico parlamento fatto nel 1790 per deputati don Francesco Maria Morgia e don Pasquale de Rosis, cosa che feriva l’animo fiero ed ingordo del Duca.

    Era attualmente sindico don Saverio Mauro e da lui pretendeva il Duca che avesse fatto un parlamento, col quale si fosse imposto perpetuo silenzio alle già mentovate cause; ma Mauro non avendo voluto acconsentire a sì strane pretenzioni [molto pregiudiciali all’Università], si fece perciò nemico il Duca.

    Essendosi così cominciati ad esasperare gli animi da ambe le parti, il Duca che vanta il possesso di esigere il giornale da qualunque cittadino tiene bestiame in atto a fare latticini, e non avendoglielo voluto dare spontaneamente, l’ha fatto esigere colla forza [da tutti ], e spezialmente da Morgia. Un tal passo ha fatto gran sensazione, perché l’ hanno creduto //[3] violenza, ma tale non è stata, perché a 31 gennajo 1798 sono venute provisioni dal S. R. C. spedite dal Duca, ordinantino che non solo si fusse mantenuto nel possesso del giornale, ma anco avesse esatto il pesce contrastato alla taverna della marina ed avesse impedito, secondo il solito, la svellitura de’ gionchi, che si voleva comune a tutti, sebbene questi tre capi han prodotto gravami proposti da’ particolari cittadini: ma il Duca sta in possesso [ e non preterisce annualmente l’esazione].

    Sulla credenza che fusse stata violenza, ingiustizia, usurpazione l’esazione del giornale, questo poco di latticinio ha fatto unire fra loro molti cittadini a suscitare varie cause contro il Duca, ed a queste vi ha data l’ultima spinta don Annibale Carelli, il quale venuto da Napoli assieme con Sollazzo in Corigliano, costui inprudentemente essendo andato a visitare la Duchessa, ha avuto la temerità di dirle che non era di bene far liti con Sollazzo, perché quella Casa altre volte, ed in tutte le occorrenze era restata //[4] superiore a quella del Duca, giacchè aveva danaro da spendere contro le prepotenze, ed altri simili libertà, che avrebbero offeso a chichesia: ma la saggia Duchessa usò prudenza, e si riserbò di partecipare il tutto al Duca nel suo ritorno, come fece, dandogli distinto ragguaglio dell’occorso; di che oltremodo sdegnato, diede ordine al paggio che venendo al Castello Sollazzo, Morgia, Rosa, Scozzafave, Carelli ed altri non l’avesse fatti passare. Ciò saputosi subito s’accesero vieppiù di sdegno contro il Duca, ed animarono maggiormente gl’altri, coll’ajuto ed assistenza de’ quali diedero moto alle liti incominciate e ne principiarono delle altre, che io brevemente principio ad epilogare.

    Primieramente pensarono a fare il sindaco a loro divozione per avere il sigillo in mano, e di quello avvalersene secondo l’opportunità, cosa che avrebbe molto giovata all’esito favorevole delle cause, e perciò pensarono di far venire don Gregorio Schiavone Regio Governatore di San Demetrio, dopo spedite le provisioni del S. R. C. //

[5] Venne don Gregorio Schiavone a 8 luglio 1796 e tirò nel palazzo Badiale del Patire accompagnato da una quantità di soldati volontari e dal mastro d’atti < Andreantonio> [2] Braile. La sua venuta, ed il disimpegno che dovea fare, furono subito palesi al  Duca, che senza perdita di tempo mandò una staffetta in Rossano per don Domenico di Martino, che qui giunse il giorno seguente 9 di detto mese, ed altra staffetta spedì in Cosenza per don Francesco Cortese e don Andrea Politi, quali vennero la mattina del giorno 10, e così restò premunito il Duca di avvocati per quello avesse potuto occorrere nell’elezione del nuovo sindico.

    Schiavone, che era venuto apposta per tale dissimpegno, lo stesso giorno principiò ad emanare i bandi col tamburro, che fu sempre accompagnato da’ soldati nell’atto che si emanavano. Affisse nella spezieria di don Bonaventura Vulcano nell’ Acquanova le provisioni // [6] che erano guardate con sentinelle perenni sino all’ore 24 per tre continuati giorni, affigendole la mattina e defigendole la sera.

    Prima di venire all’elezione, il Duca una sera tardi per mezzo di don Giovanni Gallo suo segretario scortato da don Ernesto Vietti li mandò ad offerire cento doppie, ed anco più, purchè non avesse fatto il parlamento nel giorno determinato, ma Schiavone le recusò. Se ne pentì dopo e cercò di riparare il fallo con un atto di sommissione che praticò a 13 gennajo 1797. Andò sconsigliatamente in Santo Mauro a visitare il Duca dove era di residenza, ma non fu ricevuto, e con suo scorno < andò >[3] a dormire in casa di Sollazzo, da dove la mattina partì per la sua residenza[4] , e né dopo s’ha voluto più ingerire contro la Casa di Corigliano. Ma ritorniamo alla elezione del Sindico.

    Venuto il giorno 10 di detto mese si radunarono tutti nel palazzo di corte // [7] per eligere il nuovo sindico; ma non potè venire ad effetto l’elezione ideata delli particolari cittadini, perché il Duca mandò il suo Barricello armato per dar coraggio ad un’ infinità di cittadini di sua devozione non solo, ma anche ben salariati, non ostante che venivano escluse dalle provisioni, e si fece perciò un tumulto ad onta di vari ordini, proteste; ma a

ente in mano di Mauro, e perché il Duca di lui era malcontento lo fece processare di peculato da don Antonio Toscani, e ne’ principi di agosto di detto anno venne a prendere l’informazione don Tomaso Scinto, che intieramente la compì a 16 di detto mese. Partì per tal causa per Cosenza don Saverio e don Vincenzo Mauro per ottenere il prae oculis, ma non fu[5] possibile di ottenerlo. Dopo partì don Vincenzo per Napoli, ed ottenne provisioni della Regia Camera, dove furono trasmessi gli atti[6], ma non si ci è più accodito.

    Irritati così gli animi, il Duca pensò di vendicarsi in ogni occasione che si fusse presentata. Ebbe notizia certa che don Giuseppe Scozzafave dovea partire per Napoli per accodire alle cause, pensò perciò e per dispettarlo, e per impedire la partenza, di farlo // [9] carcerare, come gli riuscì avanti Santa Maria di Tutti Santi il giorno 12 luglio di detto anno 1796 verso l’ore quattro della notte mentre si ritirava con torcia accesa dalla Casa di Sollazzo accompagnato dal servitore, si vide immediatamente arrestato dal barrigello del Duca [ guidato da don Domenico Cananea mastrogiurato, e assistito da don Francesco Misciagna ] , e nell’atto che lo diligenziavano [ politissimamente li presero la burza con docati…[7] ], li posero addosso un coltello lungo, ed una pistola presenti li testimoni extra guardia don Tomaso Camardella e mastro Vincenzo Geraci; in seguito di che  <fu portato>[8] nelle carceri. La mattina seguente essendosi divulgata la notizia il Primicerio di lui fratello partì per Cosenza assieme con don Angelo Vulcano, da dove si ritirò a 20 di detto mese dopo essersi convenuto coll’auditore don Giuseppe Potenza per prendere l’informazione giacchè il Duca aveva rinunciata la causa alla Regia Udienza per essere nemico col Governatore don Vincenzo Baviera di Turano. //

    [10] Giunse l’auditore Potenza il dì 23 di detto mese in San Giorgio non solo per l’informazione di Scozzafave, ma anco per accapare l’informazione contro il Duca processato con vari capi, e spezialmente sopra l’abuso della giurisdizione; stimò perciò il Duca avendo ottenuto il prae oculis di mandare don Francesco Cortese e don Andrea Politi a farli visita, e trattare nel tempo tosto che avesse presa l’informazione in Acri, che ottenne, e a 24 detto partì per detta terra. Nell’ore della sera dello stesso giorno 23 il Duca di unita cogli avvocati surriferiti partì per Santo Mauro, dove si abboccorno col subalterno don Giuseppe Auletta con cui trattarono del modo come accapare l’informazione.

    Sistemate così le cose venne a 26 detto don Domenico Auletta con una squadra di soldati, e dopo essere preceduta la cartella del Governatore Baviera, ed il ricevo del subalterno, coll’intervento ed assi- // [11] stenza dello stesso Governatore e Mastrodatti Seta, si consignò il carcerato Scozzafave coll’intelligenza del Duca, ed avanti la chiesa di San Pietro si posero in lettica tanto Auletta, quanto Scozzafave, e partirono per Acri.

    Per il dissimpegno delle già descritte incombenze partì per detta terra di Acri un’infinità di testimoni tanto per parte del Duca, quanto per parte de’particolari cittadini; accodendo, per parte del Duca, Cortese e Politi, e per parte de’particolari cittadini don Filippo Catalano e don Francesco Scarpello; e non ostante che si fusse esaminato contro del Duca il Governatore Baviera, pure non hanno concluso nulla, perché il denaro è stato il reo, avendo il Duca speso per questa causa grosse somme, e a particolari cittadini è costato il dispendio di circa docati 2000: cioè 1116 all’Auditore, 120 a don Giuseppe Auletta, ed il dippiù a suo nipote don Domenico, avvocati ed altri. //

    [12] Terminata l’informazione don Andrea Politi se ne ritornò d’Acri il dì 29 e don Francesco Cortese il giorno seguente di detto mese, avendo lasciato il carcerato in Acri, che poi la mattina de’31 fu trasportato in Cosenza, e l’Auditore avendo disbrigato il tutto a 7 agosto se ne ritornò nella sua residenza.

    Il Duca volendo ricompensare le fatiche dell’avvocati rigalò a don Domenico di Martino docati cento, che pulitissimamente non volle accettarli, ringraziandolo dell’offerta; ma il Duca li mandò in Rossano cinque salme d’oleo, ed una di latticini, per la dimora di venti giorni, gia che a 31 di detto mese si ripatriò. Cortese e Politi si sono trattenuti alquanti giorni più per assistere presso don Tommaso Scinto incombenzato dal Tribunale per verificare le parentele che aveva il Governatore Baviera in Corigliano, per farlo desistere, perché era sfacciato ne- //[13]mico del Duca. Si costarono effettivamente le parentele, ma non ebbero luogo, perché si era premunito di licenza della Camera Reale di S. Chiara. Disbrigati questi atto partirono tanto Cortese, quanto Politi il giorno 17 di detto mese di agosto, e furono regalati a Cortese 250 ducati e 150 a Politi.

    Vennero al Duca provisioni spedite dalla Gran Corte della Vicaria, che se fosse in voto la Regia Udienza di assolvere il carcerato don Giuseppe Scozzafave, avesse in quel tribunale trasmesso gl’atti senza amuoverlo dalle carcere, quali provisioni essendo state presentate da don Francesco Cortese furono senza difficoltà osservate.

    Era stato destinato Scozzafave a assistere in Napoli presso gl’avvocati per le liti mosse e movende; ma come seguì la carcerazione partì per tal uopo don Luigi Carusi, che colla sua assidua assistenza fece destinare don Domenico suo figlio Giudice di Foggia, e lo mantenne saldo nel posto non ostante procura di un’infinità di cittadini aderenti del Duca, colla quale si asseriva essere non solo cittadino, ma // [14] irruente, ignorante ed altri simili capi non a tutti noti, e spezialmente a chi scrive. Da questo ricorso ne uscì il capiatur informatio, in seguito del quale il Carusi ne ottenne il prae oculis con dispaccio ed essendo venuto il subalterno [ don Antonio ] Luciano [ a 28 novembre 1797 ] per tal dissimpegno, non vi <pose>[9] mano per mancanza di testimoni, e lo stesso essendo venuto per far diete, <il primo dicembre>[10] se ne <partì>[11] col danaro.

    A 18 agosto don Niccolò Luzzi essendo andato a carcerare un soldato della leva del Duca, che si era disertato da Morano mentre andava in Napoli, che erasi ritirato nella <sua>[12] casa sita sotto il palazzo della Corte, il Governatore dalla finestra gridando, disse, in nome del Re lasciate andare la recluta; ma il Luzzi dopo averli risposto arrogantemente, e con parole ingiuriose seco la portò nel carcere, e dopo andò a darne parte al Duca, che ne fece formare atto pubblico in quell’ora stessa nel Castello.

    Il Duca mal volentieri soffrendo // [15] il Governatore Baviera ricorse subito alla Regia Udienza, e a 9 settembre di detto anno venne don Tomaso Scinto a <prendere le diligenze>[13], ma il Baviera preventivamente si era munito di provisioni nella Regia Corte di Santa Sofia, e a 11 di detto mese venne qui in Corigliano notar Giorgio Ferrajuolo a notificarle a [ don Tomaso ] Scinto affinchè avesse desistito; ma Scinto non ci diede retta perché <non osservate> [14] dalla Regia Udienza, e perciò proseguì l’informazione commessali contro il Governatore, e non meno che contro notar Alessandro Persiano per un atto pubblico falso fatto in casa di Bruzzise per la recluta disertata e carcerata da don Niccolò Luzzi.

    Il Persiano vedendosi a mal partito inplorò la protezione della sorella commare del Duca e della Duchessa, alli piedi de’quali essa si umiliò, ed ottenne la grazia del fratello, ne più di tal falsità s’è // [16] parlato.

    <In esito delle diligenze prese da Scinto il Duca fece tutte le premure che fusse venuto il comandante Derix>[15], e per abbaglio venne il tenente don Gaetano Nobile di Catanzaro a prendere tale informazione, e giunse in Corigliano a 18 ottobre di detto anno; ma Derix si fece sentire che voleva prenderla lui; sicché il Nobile il giorno de’24 dopo essersi licenziato col Duca se ne partì. Derix convenuto col Duca fece prendere l’informazione a Scinto, e dopo terminata firmò le carte, e fece la relazione, che essendo andata al suo destino, ne uscì dispaccio per consiglio di guerra, e a 26 gennaro 1797 fu notificato al Governatore da un agozeno della Regia Udienza, che fra lo spazio di due giorni si fusse conferito in quel tribunale per sentire l’ulteriori risoluzioni del Re: ma il Governatore nulla curò quest’ordine, per cui a 11 febraio fu perento- //[17]riamente chiamato, e nettampoco volle obedire: fintantoché a 7 marzo avendo finito il governo, depositò l’officio, e fece notificare a’cittadini le provisioni della Vicaria, le quali appartenevano alla sua amministrazione. Queste contenevano che le querele del suo sindicato si fussero presentate al Regio Governatore di S.Sofia don Liborio Codagnone, le quali facilissimamente ottenne il Baviera per aversi asserito essere nemico col Duca, e con particolari cittadini. Furono presentate le querele infra legitima tempora a Codagnone da notar Alessandro Persiano, ma il Baviera era partito per Napoli, dove essendosi discusse, ne pervenne qui notizia a 27 giugno 1797 essendo stato assoluto il querelato, e li querelanti condannati alle spese e diete; e ciò per decreto della Vicaria, avverso del quale ne furono proposti i gravami, che sin ora non sono stati //[18] discussi.

    Avendo il Duca veduto la grande resistenza, che non si credeva mai trovare in pochi galantuomini, che non solo stavano saldi nella difesa, ma anco offendevano mirabilmente, pensò di mandare in Napoli don Pasquale Meligeni, don Orazio Malavolta, don Domenico Cananea e don Vincenzo Misciagna, non che don Carlo Oranges accompagnati da due soldati della Camera: tirarono addirittura nella Casa di Corigliano, dove ebbero l’istruzione di presentarsi al Ministero avanti di cui pendevano le cause, e dirli che l’Università non voleva aver liti col Duca, come eseguirono non avendo riportato di tale indecente passo altro che un acre rimprovero, e così essendo partiti dalla patria a 22 agosto, furono di ritorno nella medema a 18 settembre, essendo restato don Pasquale //[19] Meligeni per altri suoi affari.

    Venne in testa al Duca, per dispettare Sollazzi come primo motore e sostegno delle cause, di far processare il Padre Maestro Timeo da don Tommaso Camardella con alcuni insignificanti capi, per cui precedente dispaccio venne don Tomaso Scinto a 20 settembre a prendere l’informazione: ma Timeo <discaricò>[16] in modo che <ottenne>[17] onorevole dispaccio pervenuto nella Regia Udienza, con ordine a Camardella di doversi conferire in quel tribunale, e sentire da que’ministri una forte riprensione; ma Timeo seguendo le massime del Vangelo non l’ha permesso.

    Non cessavano i particolari cittadini di tenere inquieto l’animo del Duca, ed avendo il Sindi- //[20]co a loro divozione, pensarono di fare il parlamento dell’annona, e li deputati di essa, l’incanto della neve e del macello, come altresì [18] stabilire la voce del grano, quali cose essendo passate alla notizia del Duca fece subito venire don Andrea Politi a 10 ottobre per assisterlo. In fatti il giorno 16 di detto mese, dopo essere preceduti i soliti bandi mentre era congregata un’infinità di popolo nel palazzo della Corte per farsi il parlamento gl’aderenti del Duca s’opposero asserendo di non avere don Saverio Mauro sindico facoltà veruna per essere spirato l’anno del suo governo, non ostante ordine da Napoli precedente relazione del Preside intorno all’annona e dal Preside comunicati al Governatore con suo foglio; pure preparati a non far succedere tal parlamento non hanno voluto obedire a tali ordini, tanto maggiormente che mancava il Cancelliero, e gli //[21] Eletti, e voleva il Sindico servirsi del cancelliero assunto, e spezialmente di don Serafino Rossi, il quale al primo semplice invito si era andato a sedere con carta avanti, preparato a stendere gl’atti: ma l’Erario don Domenico Pisani mosso da giusto sdegno li tolse la carta d’avanti, e tutti del partito del Duca cominciarono a dire, che come forastiero non poteva esercitare tale impiego; laonde mosso il popolo e fatto vieppiù ardito, perché spalleggiato, voleva <ucciderlo>[19]; ma don Domenico Cananea ed altri, li fecero ritirare indietro acquietando il tumulto, mentre il Rossi per sottraersi alla furia del popolo, si nascose sotto la banca, e così si salvò la vita, e nel tempo stesso si sciolse il parlamento.

    Dallo già accaduto il Governatore Baviera di buono inchiostro ne fece relazione in Cosenza, e ne fu commessa l’informazione a don Tommaso Scinto, che venne per tal dissimpegno a 26 novembre. Premurato dal Duca ha cercato di rubricare Jacucci, Ros- //[22]si e Mauro, ma non l’è riuscito; anzi per acquietare le cose il Duca ha speso docati mille alla Regia Udienza, oltre di <ducati trenta>[20] dati a Scinto per tale informazione.

    In tali e tante turbolenze che sembrava questa città divisa in partiti emoli fra di loro un’altra Cartagine e Roma, si trscurò di fare il Sindico nella fine di agosto secondo l’inveterato abuso, e non piacendo al Duca che Mauro avesse ulteriormente esercitato tal carica, ricorse nel Sacro Regio Consiglio, ed in presenza del commessario don Giacchino Ferreri si tenne ben lungo contraddittorio sino all’ore cinque della notte, fal quale fu decretato che don Infantino Gaudio sindico infra decennium avesse esercitato interinamente, e la stessa sera 14 ottobre si spedirono le provisioni, che pervennero qui con staffetta apposta a 18 detto[21] un giorno prima di venire la posta. //

    [23]In questo contraddittorio dal Migliaccio si pretendeva, che fusse restato per interino il Mauro; ma non avendo potuto ottenere questo, ha ardito domandare che fusse restata al Mauro la facoltà di nominare il Sindico, cioè far la terna, e non già all’interino Gaudio suo successore, ed anco questa seconda pretenzione fu ributtata, e restò fermo il decreto, quale qui pervenuto, come di sopra si è detto, si mandò subito nella Regia Udienza per l’osservanza, e ne fu data la commessa a Scinto per l’esecuzione, ed il sindico Mauro senza difficoltà consignò a Gaudio il sigillo. Ma torniamo a Scozzafave.

    Stava quel povero innocente nella camera dell’orologgio assegnatali per carcere da più mesi, dibattendosi da ambe le parti, volendosi dagli avvocati suoi assoluto, e da quelli del Duca condannato. E veramente sarebbe stato con-//[24]dannato se don Cesare Guarasci avvocato del Duca non fusse stato tanto dotto; ma la sua dottrina l’ha ingannato ad onta dell’esperienza, perché a 25 ottobre si chiamò la causa, e si proferì il decreto di consignetur, avverso del quale dal Guarasci se ne proposero le nullità cumulativamente coll’appellazione il dì seguente di detto mese, che ebbero la stessa sorte, e fu confermato il decreto. Ciò saputosi dal Duca la mattina de’29 dello stesso mese spedì staffetta per Cosenza per farlo trattenere, e la sera dello stesso giorno ne spedì un’altra in Napoli, querelandosi tanto il Duca, quanto il mastrogiurato don Domenico Cananea nella Vicaria criminale dell’irregolare procedere del tribunale di Cosenza; ma nulla si ottenne, perché quei ministri si discaricarono mediante grosse somme spese da’particolari cittadini per questa causa; e perciò a 2 novembre si ritirò in Corigliano don Giusep- //[25]pe Scozzafave.

    Non contenti i particolari cittadini del governo di Gaudio perché parziale del Duca, vollero l’elezione formale del nuovo sindico, e per tal uopo si prepararono ambe le parti. Il Duca fece venire don Cesare Guarasci a 22 maggio 1797 mentre che qui rattrovavasi Politi anche dal Duca chiamato per altri affari, e a 27 dello stesso mese venne il Caporuota don Gennaro Pacelli anche a richiesta del Duca, e portò seco il segretario della Provincia don Gaetano Aquila, ed un subalterno, li quali tirarono nel convento di S.Francesco di Paola. Per parte de’particolari cittadini venne il giorno 25 don Giacomo Palazzo, che tirò in Casa di Sollazzo.

    Dopo le solite formalità de’bandi finalmente il dì 28 di detto mese congregati tutti li cittadini nel palazzo della Corte si devenne all’elezione del sindico, e fu acclamato don Orazio Malavolta, perché i voti a lui dati ad aures del Mini-//[26]stro superarono quelli di don Giovanni di Rosa, dico don Pasquale desiderato sindico del partito contrario. Si devenne prima di tale elezione a proteste, asserendo [il Palazzo e fortemente ostando], che fossero escluse le persone salariate a tenore delle provisioni del Sacro Regio Consiglio, ed osservate dalla Regia Udienza; ma le loro domande non ebbero luogo, siccome nettampoco hanno fatto peso allo stesso ministro le nullità presentate da don Giacomo Palazzo per parte de particolari cittadini, e perciò li fu dal Gaudio consignato il sigillo.

    Un tal possesso preso da don Orazio Malavolta fu irregolare, perchè le provisioni ordinavano che l’elezione si fusse fatta con suffragi segreti e colla bussola; ed il Ministro per non controvenire agl’ordini del Consiglio ed alle Prammatiche, chiese all’interino Gaudio una fede de’parlamenti fatti da sedici anni a questa parte; ed essendosi quello del //[27] 1793 in 94 in cui don Pasquale Meligeni aveva esercitata tal carica, il di costui parlamento essendosi fatto per bussola, il Gaudio non l’asserì, ma disse semplicemente che avendo perquisito i parlamenti dell’anno 1780 sino al corrente aveva trovato essere succeduta l’elezione del sindico a viva voce. Con una tal fede, e col danaro si preterì la bussola contro il sentimento di Guarasci, e si diede il possesso a Malavolta, non ostante le nullità del Palazzo prima del possesso proposte.

    Il Duca in tali turbolenze di cose, o perché non era avvezzo a soffrire resistenza, o per vieppiù animare gl’avvocati presso i giudici partì a 10 giugno 1797 per Napoli di unita colla signora Duchessa ma la sua persona e la profusione del danaro a nulla giovò, percé i zelanti cittadini avendone proposti i gravami in <Consiglio>[22], dopo un lungo dibattimento in quel tribunale fu deciso a 21 giugno che don Orazio Malavolta avesse consignato il sigillo al- //[28]l’interino antecessore don Infantino Gaudio, fintantoché non si fossero discusse le nullità proposte da’particolari cittadini, e la stessa sera senza veruna difficoltà si consignò dal Malavolta il sigillo a Gaudio per poseguire il governo sino alla discussione delle nullità.

    Non contenti i particolari cittadini di questa sodisfazione avuta dal Consiglio, ricorsero nuovamente in quel tribunale, e domandarono che il Cancelliero avesse esemplata una copia del parlamento dell’anno 1793 in 94, dalla quale si rilevava che il sindico era stato eletto per suffragi segreti; e tale copia dovea il Cancelliero darla frallo spazio di giorni otto, sotto pena di carcerazione, ed in mancanza di pegni. Ma perché le provisioni erano dirette alla Regia Udienza, Corte Regia o del luogo, non hanno curato farle osservare, ma soltanto l’hanno fatte notificare da notar Giovan Battista Rende a 24 luglio 1797. Avvedutisi dopo dell’errore commesso le fecero osservare alla Regia Corte di S.Sofia, e a 2 agosto per mezzo d’un di lei servente li fu notificata //[29] domi avendo guadagnato per l’ignoranza di don Giuseppe Scozzafave altri giorni otto a tenore delle provisioni. Ma essendo stato istruito, che la notifica doveva essere personaliter, e non domi, a 5 agosto per mezzo del servente di detta Corte di S.Sofia fu notificato personalmente il Cancelliero Otranto avanti la spexieria del magnifico Domenico Orances; e perché in tal atto si trovava presente, anzi assistente don Serafino Rossi, si attaccarono prima con le parole, e poi vennero alle mani, essendo stata eguale la pugna. Lo stesso giorno parimente fu notificato il sindico don Infantino dal medesimo servente, il quale ebbe per regalo una correzione manuale in casa del Gaudio.

    Il servente così maltrattato si conferì subito in S.Sofia, dove si fece osservare da due chirurgi, e ne espose querela alla Regia Udienza, per cui se n’ordinò l’informazione, e la commessa fu //[30]intestata a don Antonio Luciano con cui andò a trattare in Rossano don Orazio Malavolta a 11 ottobre, e con docati 60 che il Duca pagò, non li costò niente.

    Dubitando il Sindico ed il Cancelliero per la fede che non avevano voluto esemplare del 93 in 94 di ulteriori violenze, mandarono per mezzo di notar Salamone due istanze al governatore Codagnone; con una delle quali si asseriva non avere esso sindico scrittura alcuna appartenente all’Università, e perciò non doveva dal conto del parlamento che mancava; tanto più che i sindici di questa città tengono la curia separata, dove si conservano le scritture del publico, e tali scritture, libri, ecc... si maneggiano e stanno in potere del Cancelliero, che tiene presso di se la chiave. Questo era il discarico del sindico. Il cancelliero all’incontro con altra sua istanza si discaricava pres- //[31]so Codagnone, asserendo che sebbene la chiave dell’archivio fosse stata in suo potere, tuttavia però le scritture che all’Università si appartenevano, non l’erano state consignate, e mancando l’inventario non era tenuto a darne conto lui della scrittura mancante, ma bensì l’antecessore. Quali istanze da notar Salamone presentate, furono dal Codagnone ricevute e per diritto si prese docati quattro e grana quaranta.

    Queste tali istanze a nulla valsero, perché la mattina de’17 agosto 1797 fu carcerato il cancelliero Otranto in sua casa da una quantità di soldati guidati da don Serafino Rossi, e dopo fu trasportato al palazzo della Badia dove la stessa sera giunse il Governatore di S.Sofia, che dopo essersi trattenuto un giorno, partì la mattina de’19 e portò seco il carcerato Otranto, avendo bestialmente ricusato docati 100 perché l’avesse lasciato in queste carceri[23]. //

    [32]Il rumore fu grande, e quelli del partito Ducale ne fremevano di rabia, ma sopra tutti Camardella, che per farsi un merito partì per Napoli a 18 agosto per manifestare col vivo della voce il tutto al Duca da chi immediatamente li furono assegnati docati otto al mese per suo mantenimento in quella città, da dove essendosi ripatriato a 26 maggio 1798, ha continuato ad esigere la stessa somma mensualmente accordatali da Duca [avendoli rigalato per il viaggio docati 24].

    La carcerazione di Otranto non durò molto, poiché a 21 del medesimo mese fu escarcerato colla solita clausola di consignetur; quale consegna fu fatta a don Baldasarre Archiopoli sindico di S.Demetrio colla malleveria di docati 500, e la mattina del giorno seguente si ritirò in sua casa. Ma tutto ciò per ordine della Regia Udienza [e tutto ciò per opera[24] dell’agente che fortemente si maneggiò col tribunale dal quale ottenne l’escarcerazione colla plegeria ad Archiopoli per mezzo del subalterno Pignatelli, che portò il Cancelliero in sua casa], perché  dopo seguita la carcerazione si mandò staffetta in Cosenza, che subito spedì il subalterno don Rafaele Pignatelli in S.Sofia, e dopo adempite le scritture, portò seco il Can- //[33]celliero in Corigliano. Il Codagnone tenne il carcerato in sua casa dove ebbe tutta la libertà anche di uscire se ne avesse piacere: la sera lo tenne seco a tavola e lo trattò bene [avendogli fatto vedere anco la venia di don Tomaso Marzano governatore di questa città domandatali per la di lui carcerazione negli atti ingerita]: ma l’agente don Pasquale de Simone[25] malamente corrispose a’benefici del Codagnone fatti al cancelliero Otranto, perché avendosi esatto quel Governatore per diritto della plegiaria di ducati 500 la somma di ducati 15 nell’atto della consegna a don Baldasarre Archiopoli, ne fece risentimento nella Regia Udienza, e voleva restutuiti li ducati 15 dal Codagnone esatti, anzi secondo lui estorti.

    Irritato da ciò il Codagnone premé la mano nel Consiglio contro la Regia Udienza, e da quel supremo tribunale fu acerbamente rimproverata ed inibita.

    Non si estinse così lo sdegno pur troppo giusto del Governatore di S.Sofia, ma passò oltre. Avvalorato dal Sacro Regio Consiglio ordinò [nuovamente] la carcerazione del cancelliero Otranto, ed in mancanza l’esecuzione reale, e tutto ciò per ordini perentori di quel tribunale, delli quali avendone //[34]avuta notizia il Cancelliero, o pure ne avesse dubitato se n’andò a dormire in casa della suocera, ed indi per maggior sua sicurezza se ne passò nel convento de’padri Cappuccini [ed il giorno seguente passò in quello de’Paolotti]. Fu assaltata la casa a 12 settembre, ma siccome non vi trovarono lo bramato reo, lo spogliarono non solo de’mobili, ma anco delle proviste appartenentino al vitto, e di tutto se ne fece la consegna da notar [Ferdinando] Bellucci coll’assistenza di don Serafino Rossi al magnifico Francesco Alice, che poi passò in potere di don Ambrosio Jacucci, avendosi portato seco il Bellucci l’oro e l’argento.

    Non contento Codagnone dell’esecuzione fatta ad Otranto mandò nuovamente notar[26] Bellucci per documentare con un atto pubblico, che nell’anno 93 in 94 don Pasquale Meligeni era stato eletto sindico con suffragi segreti e colla bussola: cosa che agevolmente costò per mezzo di un’infinità di testimoni.

    Tutte queste giuste e regolari proce- //[35]dure del Codagnone hanno avuto l’origine dall’aggravio sofferto dall’Agente che era ricorso nel Tribunale [Provinciale] per la restituzione de’ducati 15 esatti per diritto della plegieria di docati 500: di modo che essendo andato don Orazio Malavolta in S.Sofia a trattare col Governatore, lo ritrovò inesorabile a qualunque progetto, perché sdegnato del rimprovero dell’estorsione; quantoché se a questo punto si cedeva, si potevano forse avere degl’arbitri, e non accadeva ciocché è accaduto in questa causa e se ne potevano avere degl’altri come Regio Governatore e vicino.

    Ritrovandosi l’animo del Codagnone fortemente irritato per l’espressata cagione, e premurato da particolari cittadini mandò a 14 settembre 1797 ad arrestare don Infantino di Gaudio da notar Ferdinando Bellucci con una numerosa compagnia di gente armata, che in casa lo custodivano. Un tale attentato fece gran rumore per la città, e poco dopo si fece un armamento grande, composto dal Barricello del Duca, corte di //[36]notte ed altri: ma il governatore don Tommaso Marzano che andava in casa del sindico per vedere la commessa del Bellucci, fece ritirare la gente armata. Giunto in casa di Gaudio dopo qualche discorso domandò la commessa; <ed> [27] il  Bellucci non avendo altro che semplici provisioni col perentorio, disse che costava a lui essere don Infantino il detentore del parlamento, e tutto ciò li costava per mezzo di una sommaria informazione colla quale avea creduto di avere fatto una piena prova colla deposizione di due o tre testimoni prezzolati, che avevano asserito di avere inteso dalla bocca del cancelliero di essere il parlamento del 93 in potere del sindico Gaudio, e dopo averne dato parte al di lui principale Codagnone, ne ottenne risposta ambigua, ordinandoli che essendo vero quanto aveva costato, si fusse regolato.

    Don Tommaso Marzano pieno di prudenza e di sapere, ed essendosi spento in lui quel fuoco primiero che l’accendeva, devenne all’umiliante preghiera di consignarli il carcerato, e dopo una ben lunga re- //[37]sistenza il Bellucci finalmente se ne andò in casa di Sollazzo (lasciando bensì custodito dalla birraglia il sindico) e dopo mezz’ora tornò, persistendo sempre nella sua ferma risoluzione di non consignare il carcerato: ma avendo seriamente considerato che tanto lui, quanto la sua gente era in gran pericolo, se ne partì, dando ordine alli birri, che avessero custodito il carcerato, ed in caso di violenza non avesseri fatta veruna resistenza, come di fatti accadde, perché avendoli ordinato il Marzano che si fussero ritirati, perché il carcerato stava a lui consignato (ma senza ricevo) li birri subito partirono. Fu però grazia di Dio che obbedirono, perché la gente armata dubitando che avessereo trasportato il carcerato in S.Sofia si era tutta appostata nel cozzo di S.Antonio preparata a far fuoco se fosse stato uopo.

    Marzano in seguito fece relazione //[38] a Codagnone dell’occorso, da cui ne ebbe risposta di avere fatto bene.

    La relazione fatta da Marzano a Codagnone era concepita con termini molto nocivi, perché per scusarsi di avere arrogata la facoltà di consignarsi il carcerato, espose che intanto aveva dato tal passo, per impedire i funesti eventi di gente armata e sollevata, che era in numero assai esorbitante. Di questa tale relazione Codagnone ne mandò copia a Sollazzo, e nel tempo stesso riferì con buono inchiostro al Consiglio, tanto più che dalla parte de’sollevati uscirono parole minacciose, dicendo pubblicamente che dopo l’eccidio de’birri, che custodivano il carcerato, facevano anche il resto a’motori di tale carcerazione.

    Non stimandosi più sicuro don Infantino in casa, la sera dello stesso giorno 14, partì per Napoli accompagnato da sei soldati della squadra del Duca; // [39]quattro de’quali si voltarono da Campotenese, e due l’accompagnarono in Napoli. Si presentò al Duca, che immediatamente fece fare una sessione da’suoi avvocati, a’quali rigalo la somma di 300 ducati. Si agì senza perdita di tempo in tribunale, dal quale si ordinò che si fusse presa informazione per verificarsi il detentore del libro del parlamento.

    Nel mentre che don Infantino trattava [28]le cose sue in Napoli, ecco a 6 novembre di detto anno 1797 fu eseguito realmente da don Liborio Codagnone; e perché di tale esecuzione se ne aveva avuto certa notizia, fu rigalato bene il Codagnone, sì per non fare la vendita de’pegni di Otranto, giacché a 25 ottobre se l’era fatto l’ordine, che avesse data la nota de’periti per devenirsi all’apprezzo de’mobili al medesimo eseguiti, per indi procedersi alla vendita a tenore degl’ordini del Sacro Regio Consiglio, come anco per fare una mite esecuzione a Gaudio; cosa che riuscì agevolmente, perché il Codagno- //[40]ne era stato rigalato bene in contanti, e perciò fece al Gaudio l’esecuzione di dieci candelieri d’argento a cera, che furono consignati a don Francesco Maria Morgia dal di lui mastrodatti assunto don Filippo Marchianò la sera de’7 di detto mese <di>[29]novembre, e la mattina seguente se ne partì per S.Sofia, essendosi contentato di una semplice fede di deposito fatta da don Gennaro Lettieri.

    Giunta tal notizia a don Infantino in Napoli cercò in ogni conto di disbrigare l’affari suoi, e non avendo potuto ottenere il prae oculis, umilio supplica alla Maestà del Re, e con regal dispaccio ottenne che si avessero presenti le sue ragioni, e così sicuro di non soffrire ulteriori violenze a 27 novembre si ripatriò.

    Languiva Otranto nel convento de’padri <Paolini> [30], e per stare più vicino alla sua spogliata casa, passò in quello de’Domenicani, dove avendo sofferta una violenta colica, e tediato di quella stanza //[41]senza una prossima e certa speranza di ricuperare la primiera libertà, a 2 marzo 1798 partì per Napoli colla lusinga di dar fine alla sua inquisizione mediante la protezione del Duca, dal quale credeva di essere amorevolmente accolto, compatito e difeso il suo infelice caso, pure contro ogni sua aspettativa non fu ricevuto, avendosi financo negata l’udienza, che le leggi concedono ad ogni delinquente. Restò l’Otranto mortificatissimo, e non sapendo a qual partito appigliarsi, determinò finalmente di andarci la seconda volta, e non fu trattato meglio della prima: allora si che vedendosi ingiustamente e con tanta ingratitudine abbandonato l’animo suo ondegiò, anzi si immerse in mille tristi pensieri agitati dal timore di essere carcerato, risolse di andare nella Torre del Greco a trovare don Francesco Aquila, e così lontano da Napoli star con più sicurezza, e sentire nel tempo stesso il pa- //[42]rere dell’amico; ma incontratosi a caso con don Rafaele Portanova nella strada del Carmine fu consigliato colle seguenti memorabili parole, che se voleva udienza del Duca avesse fatto capitale di quel birbone di don Tommaso Camardella suo pari. Piacque il consiglio all’Otranto e lo pose in esecuzione, tenendolo a tavola più volte, indi se gli raccomandò caldamente e la sua protezione fu valevolissima, perché ebbe l’intento di avere udienza sebbene con sole promesse, e senza fatti [31]: non cessava perciò l’Otranto di pregare continuamente il Duca affinché l’avesse liberato da quella vessazione, e da tali reiterate preghiere[32] altro non ottenne, che un avvocato incaricato a parlare al giudice don Giacchino Ferreri nella di cui casa andarono di unita col padre Tommaso Romeo, ma l’avvocato non avendo avuto pronte udienza se ne partì, scusandosi che affari più urgenti lo chiamavano altrove, avendolo consigliato //[43]ad esponere lui le sue ragioni al giudice. Vedutosi il cancelliero colla sola compagnia di un frate in casa di un ministro, come uomo non avvezzo a’ragiri e fracassi de’tribunali, l’animo suo totalmente si avvilì; ma il frate li diede coraggio, e colla franchezza monastica cominciò a pregare il giudice ad avere pietà e compassione di suo nipote che era povero, innocente e colla casa spogliata. Ferreri senza farlo finire di parlare si alza da sedere, dicendo: il libro, il libro, il libro se n’entra dentro: restano tutti e due mutoli ed estatici, si guardano scambievolmente e partono da quel fatale luogo afflitti e sconsolati. Il giorno seguente Romeo non essendosi intieramente perduto d’animo torna nuovamente da Ferreri, incalza le preghiere colle più vive espressioni, ed avendolo trovato di migliore umore ne ottiene la salvaguardia per venti giorni ab hodie //[44]decurrendi colla spesa di ducati quattro e grana <venti> [33], cioè carlini dodeci al cameriero, ed il resto per firme. Considerando il cancelliero che 20 giorni erano pochi e presto finivano, e considerando anche che il danajo era in fine a 4 aprile, immantinente si ripatriò [ed essendosi chiamata la causa a 21 aprile, si disse dal Ferreri stare in decisis il Consiglio del primo decreto (de 24 luglio 1797) di forzarsi il cancelliero per capturam pignorum et personae, e riguardo al sindico capiatur informatio], ed essendo scorso il termine tornò di nuovo nell’asilo, da dove non cessava di far presente al Duca la sua trista ed infelice situazione. Si scosse finalmente il Duca, e si adoprò a favore del cancelliero presso il giudice[34], da cui altro non ottenne che altra salvaguardia, e prima di spirare la seconda ottenne la terza, e finalmente la quarta, quali furono spedite dal Consigliere Gorgoglione stante che Ferreri si trovava applicato alla giunta de’giacobini, altrimenti il Siciliano non era tanto indulgente. Furono osservate le provisioni nella corte //[45]locale da don Vincenzo Morelli il giorno 18 luglio, e così successivamente l’altre, l’ultima delle quali fu spedita [a 4 settembre] per totas ferias aestivas dal Consigliero Ferreri per avere veduto l’oppressione che si faceva al cancelliero con ritardarsi gl’atti fabricati dall’Auditore provinciale don Antonio Danza commessionato per l’informazione del libro, li quali dormivano in mano de’particolari cittadini, non ostante che l’avessero avuti da più tempo dal subalterno don Francesco Saverio Montemurro, ed essendo già <presentata> [35]sua fede al Ferreri, si indusse a fargli la salvaguardia del tenore espressato [e dopo tali ragiri andarono finalmente al loro destino essendosi pagati al commissario per la spedizione docati 24 verso la fine di ottobre gl’atti fabricati contro Gaudio ed Otranto], fintantoché essendo venuti in Regno gl’armi francesi, e dopo poco tempo riacquistato questo nostro paese dal Cardinal Ruffo, essendo venuto anticipatamente nel Castello l’ajutante di campo don Giuseppe Mazza [ a 4 marzo[36]], le cose avendo mutato aspetto li furono restituiti da don Ambrosio Jacucci tutti i pegni che stavano in suo potere senza veruna difficol- //[46]tà; ma Codagnone richiesta da Mazza a restituire l’oro e l’argento non volle obbedire, adducendo leggi e ordini del Consiglio, quali scuse non essendogli piaciute fu dal medesimo mandato a carcerare in S.Sofia col barricello del Duca e portato nel Castello, e dopo essere stato acremente rimproverato, fece la consegna di tutto, e con questa mortificazione si ritirò nella sua residenza.

 

 

L’epoca infelice del 1799, tempo in cui gl’affari politici di questo comune cambiarono aspetto, l’Autore con prudenza desisté dall’impresa del presente Giornale, privandoci del piacere d’ulteriori ed interessanti notizie.

 

[Ringrazio il dr Crescenzo Di Martino per avermi inviato questo straordinario documentino storico]

 



[1] corregge “in Santo Mauro”.

[2] corregge “Giannandrea”

[3] corregge “andiede”.

[4] Le parole successive, sino al termine del paragrafo sono cancellate e sostituite in margine dalle seguenti: “e con questo affronto il Duca si vendicò in parte della sua temerità e dabbenaggine. Restava impunito il suo mastrodatti Andreantonio Brajle ma non passò molto che lo fece querelare d’adulterio nella Regia Udienza, e a 2 aprile 1797 venne qui carcerato ed indi trasportato in Cosenza per ordine del Duca e (corregge “ma”) avendo ottenuta la remissione del marito per opera di don Stanislao Serra fu escarcerato.

Francesco de Angelis di Civita”.

[5] depennato; aggiunto in margine: “avendolo potuto ottenere partì don Vincenzo per Napoli”.

[6] sarebbe seguita una integrazione in margine, depennata: “dove dormono per non esserci più accodi”.

[7] in bianco nel testo.

[8] corregge “è stato”.

[9] corregge “ha dato”.

[10] corregge “dopo pochi giorni”.

[11] corregge “è partito”.

[12] ripetuto nel testo.

[13] corregge “prenderne reformazione”.

[14] ripetuto nel testo.

[15] corregge: “Non contento il Duca delle diligenze[corr.  dell’informazione] di Scinto, fece tutte le premure che fusse venuto il Comandante Derix”.

[16] corregge “è discaricato”.

[17] corregge “ha ottenuto”.

[18] segue depennato “per”.

[19] corregge “ammazzarlo”.

[20] corregge “quello che ha”.

[21] segue depennato: “per essere partita |[23]tita la posta”.

[22] Cosiglio

[23] segue depennato: “ed avesse lasciato in potere di Morgia o Sollazzo l’oro, e l’argento eseguito ma Codagnone s’era imbevuto del costume greco e volle perdere questo onesto arbitrio”.

[24] segue depennato: “e maneggi”.

[25] aggiunta in margine: “corrucciato col Codagnone perché aveva portato seco i pegni, e non aveva voluto lasciare in questa carcere il cancelliero ricorse in Regia Udienza per la restituzione de’docati 15 esatti per la plegiaria di ducati 500”

[26] segue depennato “Ferdinando”.

[27] corregge “ma”

[28] ripetuto

[29] d’

[30] corregge “Cappuccini”.

[31] aggiunto in margine: “avendo avuto in tal mezzo l’...per il libero accesso”.

[32] “ne diede l’incarico a don Domenico Franchini uno de’suoi avvocati affinché avesse parlato al giudice”.

[33] corregge “quaranta”.

[34] “la causa fu chiamata in grado di nullità”.

[35]  [...]data.

[36] errore per aprile.