Correva l'anno 1880

Corigliano tra il 1877 e il 1880

L’inchiesta Agraria Stefano Iacini

di Enzo Cumino

 

 

Il 6 marzo 1880, il Comitato nominato dal Parlamento italiano per analizzare la realtà contadina del Circondario di Rossano, invia copia della Relazione definitiva ad Ascanio Branca, deputato al Parlamento e Commissario della Giunta per l’Inchiesta agraria ‘Stefano Iacini’, per le province di Potenza, Cosenza, Catanzaro e Reggio Calabria. L’inchiesta, avviata nel 1877, ha il compito di ‘fotografare’ il mondo agrario della Penisola, nel periodo postunitario, e di proporre delle soluzioni sia circa l’arretratezza dei metodi di conduzione rurale, sia sul divario NordSud. A condurre l’inchiesta nel Circondario di Rossano (18 Comuni, da Scala Coeli e Cariati fino ai paesi albanesi), vengono chiamati: Orazio Longo di Rossano (Presidente), Nicola Zeno dei Coronei di San Demetrio Corone e Domenico Francalanza di Rossano (Componenti). La Relazione, redatta dopo tre anni di studio del mondo contadino del territorio, è ricca di notizie attendibili, perché affidata a studiosi scrupolosi, ottimi conoscitori della realtà in cui vivono. Gran parte dell’analisi esposta nella Relazione deriva da un intenso scambio di informazioni tra i componenti del Comitato e gli amministratori dei paesi del Circondario di Rossano. Sarebbe arduo voler approfondire il discorso su una tematica di così vasta portata. Sembra, perciò, più opportuno circoscrivere tale trattazione all’analisi del territorio di Corigliano (10.572 abitanti, all’epoca), cercando di cogliere quegli elementi che ne caratterizzano la fisionomia nel periodo preso in esame. Il problema più grave è quello della mancanza di arginatura dei torrenti, con la conseguente tracimazione e successiva stagnazione delle acque, causa di miasmi mortiferi (malaria). Non esistono, perciò, case di contadini in pianura. La campagna di Corigliano presenta un volto variegato. A vaste estensioni di terreno seminativo si affiancano pascoli fiorenti; accanto ad uliveti secolari vegetano querce e gelsi, non mancano vigneti e castagneti, gli ‘ortalizi’ soddisfano le esigenze della popolazione. Insomma, a distanza di un secolo dalla radiografia positiva dell’agricoltura coriglianese effettuata dai turisti stranieri che avevano visitato i luoghi nel Settecento, la situazione non è cattiva. Tuttavia, non è tutto oro ciò che luccica. La proprietà, a Corigliano, è nelle mani di pochi latifondisti. Nonostante la quotizzazione postunitaria dei demani comunali, la piccola proprietà contadina è quasi inesistente. Mentre cominciano ad affermarsi le cultivar di agrumi importati dalla provincia di Reggio Calabria, la pianta più diffusa è l‟ulivo. La raccolta delle olive è affidata principalmente a donne e bambini provenienti da Acri e Longobucco. Per quanto attiene ai metodi di coltivazione, nella Relazione si sottolinea che ‘il sistema di rotazione agraria non è in uso; è prevalente la vicenda della semina col riposo del terreno’. Si accenna, poi, ai primi passi nel campo dell’irrigazione: gli agrari più ricchi sperimentano i primi ‘pozzi istantanei’. Gli strumenti utilizzati dai contadini sono quelli tradizionali: aratri, vanghe, zappe. Interessante risulta la voce relativa alla importazione ed esportazione. Si esportano: castagne, agrumi, cereali, olio, liquirizia, caciocavalli, lana, maiali, fichi secchi. Si importano: vino, legname da costruzione, pasta, panni, tessuti in cotone. I relatori mettono a fuoco le cause del mancato decollo dell’agricoltura: emigrazione, mancanza di capitali e di mercati di consumo, cattivo funzionamento o stravolgimento dell’azione dei monti frumentari, insufficiente viabilità, zone malariche. I rimedi per superare, almeno in parte, i gravi disagi in cui versa l’agricoltura: arginatura dei torrenti, ribasso delle tariffe ferroviarie, premi per chi riesce ad introdurre una nuova coltura o miglioramenti nella propria azienda. Decisamente rivoluzionaria, per i tempi e per i luoghi, la proposta di organizzarsi in cooperative (il termine non viene menzionato nel testo), anche se gli stessi estensori rimarcano la ‘quasi impossibilità a potere ciò avvenire’. Nel territorio di Corigliano, dodici mulini ad acqua e tre conci di liquirizia lavorano i prodotti della terra. Nel periodo preso in esame, la vita del contadino è piuttosto grama: lavoro intenso dall’alba al tramonto, con una breve pausa a mezzogiorno, per un salario di appena £. 1,25: quanto basta per non morire di fame. Le donne guadagnano appena cent. 40-45 al giorno, mentre i ragazzi cent. 20-25. La conclusione del Comitato: ‘… spetta ora a chi regge questo giovane Stato d’Italia di adottare quei temperamenti, che, essendo uniformi all’indole e natura dei popoli, potessero condurre al maggior bene dell’universale’.