Correva l'anno 1884

IMPORTANTE
In questa pagina, sono riportati alcuni articoli singoli de Il Popolano, il quindicinale di Francesco Dragosei che racconta la storia di Corigliano Calabro, dalla fine del 1882 fino al 1930. Mi piacerebbe che le scuole, almeno quelle di Corigliano, facessero leggere ai propri studenti quello che succedeva oltre un secolo fa nella nostra Città. E, perché no, promuovere qualche progetto per recuperare tutti gli altri numeri di questo storico quindicinale.(io darei gratuitamente la mia disponibilità e il materiale in mio possesso)

AVVISO AI LETTORI

Sono interessato a scambiare (uno a uno) i miei numeri de Il Popolano, che non sono pubblicati su queste pagine web, con altri collezionisti di questo glorioso giornale di Francesco Dragosei (basta contattarmi: giovanniscorzafave@libero.it) 
(la mia collezione va oltre l'80%, di cui molti originali)

Nel febbraio del 1884 viene istituita la prima banca a Corigliano Calabro

BANCA TOCCI & C.

Annunziamo con piacere che oggi ha cominciato le operazioni la Banca privata costituita in Corigliano da società di tre, in corrispondenza con banche maggiori fuori che l’alimentano di capitali, col risconto degli effetti cambiari. Essa fa prestiti con cambiali, avallate però da persone d’indiscutibile solvibilità, per qualunque cifra. Il saggio dell’interesse annuo fissato per ora è di 7% per le somme maggiori a lire 6 mila; e per le somme minori è del 8%. Si può estinguere il prestito anche nell’anno con rate trimestrali – ciò che è un grande vantaggio – ritirando ogni tre mesi la cambiale e pagando un quarto, in casi eccezionali anche meno, del capitale maturato.

L’ufficio è sito in Strada Principe Umberto n. 51. Si possono dirigere le domande anche per posta al rappresentante della Ditta Sig. Tocci e C. – con queste semplici indicazioni – Occorrendo, nel prossimo numero, dare altri chiarimenti. 

(Il Popolano n. 3 del 15 febbraio 1884)

Banca Tocci & C.

Dobbiamo alla solerzia dell'On. Signor Tocci e dei Sigg. Eugenio Spezzano e Giacomo Garetti la istituzione di una banca privata, che ha già cominciato a fare operazioni, in questa città

Facciamo, per ora, di un’Agenzia di affari e di prestiti a pegno, di grande utilità. Chi sa che anche qui l’usura avea messo sue radici, pagandosi perfino l’interesse del 2 e, talvolta, del tre per cento al mese su somme mutuate, non può non applaudire all’opera nuova.

Certo, la banca suddetta è destinata a dare un gran colpo all’usura e a migliorare, in genere, la condizione de’ cittadini, che, con molta facilità e a mite interesse (7 od 8 % all’anno), trovano il danaro bisognevole per la coltura de’ loro campi, per le loro industrie, e per le scadenze commerciali. Col tempo, se ne vedrà meglio il beneficio; perché le cose nuove, per ottime che siano, lasciano sempre a desiderare qualcosa per la piena applicazione.

Amanti come siamo delle novità, che racchiudono il carattere del bene pubblico, ci gode l’animo annunziare che un risveglio siasi dato per tal modo agli affari, prova le operazioni della banca, la quale, in media, come ci si dice, colloca meglio di 2000 lire al giorno; e che siasi soddisfatto un bisogno di questa città. Era, in vero, un torto per Corigliano, tanta ricca di territorio e di prodotti, difettare di un istituto di credito, sia agrario, sia privato. 

Anche i comuni albanesi si vanno avvantaggiando di tale beneficio; ed essi, che, prima accorrevano qui per vendere le loro derrate, ora trovansi, con la facilità del prestito, un mezzo come sfuggire alle unghie degli usurai ed eseguire i lavori campestri, con opportunità, quando si ha difetto di danaro, ne’ mesi prima del raccolto. Mancava alla nostra città uno degli istituti necessari alla pubblica ricchezza; ed, al presente, che l’ha raggiunto, non à troppo da invidiare alle altre.

(Il Popolano n° 4 del 3 marzo 1884)

(successivamente il giornale farà una rettifica all'articolo, dichiarando che non si trattava di un'Agenzia dei pegni)

Le nostre cantine 

Nel nostro paese le cantine son poste nelle vie principali dell'abitato all'istessa guisa che in altre città fanno bella mostra di sé i più ricchi e lussuosi negozii. E' d'uopo sapere che Corigliano offre estesissimi vigneti e quindi dei vini buoni e generosi. Gli abitanti — generalmente parlando — inclinano piuttosto al soave liquore. Sembrerà favola se diciamo che 50 mila e più barili non bastano al consumo di un anno: si ricorre quasi sempre ai vini di Ciro, Cassano, Morano, Castrovillari, ecc. ecc. Né vale il dire — come si opina da pochi — che il paese ci ha un grosso di popolazione, imperocché quanti altri superiori ai 14 mila abitanti non ne distruggono meno? Il maggior consumo — s'intende — lo fa il contadino. Egli si contenta d'un pezzo di pan ferigno e di qualche pesce salato, o d'una minestra di legumi; ma del vino non si priva ancoraché il costo di esso non risponda alle proprie ristrettezze finanziarie. Per tal maniera avviene che una botte di vino si vuota in un solo giorno con poco fastidio del cantiniere. Ciò che disturba seriamente e nausea è il modo affatto civile di beversi il vino. Figuratevi — amici lettori — che ogni dì festivo — e s'incomincia da mattina — formansi dei crocchi di gente innanzi a queste benedette cantine, e con le caraffe in mano si tracanna il dolce elisir fra le grasse risate di chi è padrone, e le bestemmie con parole oscene di chi resta a bocca asciutta (all'ombra). Tante volte accade che in mezzo al più bell'umorismo si veggono luccicare le lame dei coltelli, e quindi un po' di scherma che finisce a ferimenti... Oh se si potesse imitare il civile sistema delle grandi città, specie quelle d'America, ove il vino si compra fuori e si beve a casa. Ma se questo torna difficile, dovrebbesi almeno — nei giorni di festa — far tenere chiuse le cantine da mezzodì in poi... E' noto che l'esempio — buono o cattivo — ha sempre i suoi imitatori. In vero, in moltissimi dei nostri caffè e da qualche artigiano — secondo più o meno l'importanza del sito — si va a sorbire qualche litro di vino. Alla fin delle fine bere un po' di vino, è la cosa la più innocente del mondo, né ci sarebbe poi tanto di male. Ma sapete che vi rispondono i contadini allorché ingiungete loro di non bazzicare più nelle cantine? — Sono i galantuomini e se lo bevono, nei caffè, e noi non possiamo andare in cantina?

(Il Popolano n° 5 del 15 marzo 1884)

L’omicidio del Capo Stazione Valdastri

Stante che la disgraziata fine dell’infelice Valdastri di questa Stazione ferroviaria, venne in vario modo narrata da diversi nostri confratelli, ci permettiamo di dirne altre poche parole, per spiegare che vi sia di vero sulla causa del reato.

Si assicura dunque che alcuni mesi dietro giunse alla nostra Stazione un cesto di ricotte fresche, all’indirizzo del Raffaele Cocola, ed il Gestore, vedendo essere cose soggette a guastarsi, glielo mandò con uno dei vetturini, che frequentano la detta Stazione. All’Ufficio del dazio consumo il cesto dovette aprirsi; e così fu consegnato al Cocola. Costui però cominciò a lamentarsi di mancare nel cesto cinque ricotte, e ne volea essere indennizzato dal trainiere. Ma, vedendo non aver potuto nulla ottenere colle buone, un giorno, unitamente alla moglie ed al cognato, gli strapparono per forza dalla tasca un biglietto di Lire cinque. Il trainiere, se ne querelò al Pretore, ed il Cocola e gli altri ebbero una condanna di qualche giorno di carcere, confermata anche in appello. Da qui ebbe origine la indignazione del Cocola. Dopo altro tempo intanto giunse per lui altro cesto di ricotte, ed il Gestore volea anche mandarglielo; ma, per gli antecedenti, il trainiere non volle portarlo. Allora si fece l’avviso di regola; ma il Cocola non andò a ritirare il cesto, sparlando sempre contro gli impiegati ferroviari. Si fece un secondo avviso, e nulla. Sicché si fu nel caso di far vendere le ricotte, in conformità dei regolamenti e dietro autorizzazione del mittente. Di questo fatto il Cocola si dispiacque maggiormente: ne avanzò reclamo; ma i Superiori non trovarono a dire sul provvedimento adottato. In tutto ciò il Capo Stazione non vi avea avuto alcuna parte. Nel giorno dell’avvenimento poi, tra lui ed il Cocola non vi fu proprio una parola. Questi, vedutolo passare dinanzi alla sua bottega, prese il due colpi, andò a raggiungerlo, con un sangue freddo inconcepibile, e, senza che alcuno se ne fosse avveduto, tirò di dietro, quasi a bruciapelo, il colpo fatale!

Quindi non alcuno alterco, non i modi burberi del Valdastri, come erroneamente piacque a taluno di scrivere sulla nostra consorella LA SINISTRA, indussero il Cocola al misfatto. 

(Il Popolano n. 6 del 31 marzo 1884

Gentilissimo Signor Direttore

Per debito di giustizia debbo rendere di pubblica ragione che fra le persone che più si distinsero nell’assistenza prestata al compianto Valdastri son pure da menzionarsi il Sig. Dott. Cimino, che accorse immediatamente dopo il Dott. Spezzano ed insieme estrassero il proiettile e ne fecero la prima medicatura, ed il Dott. Signor Redi che anche di notte stette in mia compagnia, presso il letto dell’infermo; nonché il fattorino telegrafico Gerace Giovanni, il Guardafili Longobucco Francesco e l’allievo Guardafili Alfonso Gerace, che gareggiarono di zelo in quella luttuosa circostanza.

Le sarò pertanto grato se vorrà inserire questi pochi righi nel prossimo numero del suo Popolano.

Con stima

Di lei Devotissimo

Francesco Graziani

 

(Il Popolano n. 6 del 31 marzo 1884)

E la grandine venne spessa, violenta e devastatrice!

Il 28 ed il 29 Maggio dell’anno di grazia 1884 resteranno memorabili negli annali delle sventure. Era l’una pomeridiana del 28, ed il subitaneo oscurarsi della volta celeste impensieriva ognuno, prevedendolo furiero straordinaria tempesta. E la tempesta non si fece aspettare! Acqua frammista a grandine nella città; grandine nelle circostanti colline, coperte di ridenti vigneti. Bastarono dei minuti per spargere la desolazione e lo sconforto dove pochi istanti prima erano il riso e le speranze più lusinghiere. Fertile, abbondante si annunziava anche in quest’anno il prodotto dei vigneti; ma ora tutto è perduto nella vasta zona devastata dalla grandine! E, come se ciò non fosse bastato, il 29 volle fare il resto.

Fin dal mattino un nuvolone assai tetro si vedeva congiungere cielo e mare. A mirarlo ti si stringeva il cuore, già conturbato abbastanza per la sventura del giorno innanzi. Verso le 10 a.m. quella tromba di mare si scioglieva in acqua abbondante e nuova grandine, tanto nell’abitato che in campagna, devastando altri vigneti rimasto immuni dalla prima. Non è a dire la costernazione delle masse; sembrava venuto il finimondo. Un fulmine, caduto sul campanile di S. Maria a Piazza, andava a colpire la statua della Madonna delle Grazie.

Dopo un’ora rientrava la calma.

Ma chi rivarrà l’infelice agricoltore delle fatiche durate di tanti sudori sparsi? Chi sovverrà i piccoli proprietari poiché spesso di noi i vigneti sono la proprietà più d’ogni altra frazionata, e gran numero di possidenti non ànno altro che il loro piccolo vigneto, ove tutte profondono le loro cure.

Vogliamo sperare che la nostra Comunale Amministrazione faccia conoscere al Governo il grave danno patito, e procuri di ottenere almeno qualche alleviamento dell’imposta prediale, se non un qualche sussidio pei danni sofferti.

(Il Popolano N. 10 del 31 maggio 1884) 

Una lezione... pratica!

Da persona rispettabilissima ci si assicura che, visitandosi, or è qualche giorno, da un suo amico la nostra IV Elementare, vi si trovò l'applicazione del vero metodo intuitivo. Il maestro, sig. Cappa, volendo dare ai suoi alunni una lezione pratica sulle ricotte, avea fatto venire in iscuola un ricottaro e, fatto posare il cesto delle ricotte su di un banco, Maestro e discepoli vi si eran messi attorno, tutt'intenti a scegliere quella che meglio avesse potuto appagare il loro gusto. Gli importuni visitatori interruppero le loro osservazioni... culinarie. Oh, dignità magistrale!! 

 

Danari a prestito, a buoni patti per tutti

Annunziamo con piacere che la Banca locale qui tenuta dalla Ditta Tocci e C. va da questo giorno ad introdurre nuove modificazioni nelle sue operazioni, destinate ad apportar vantaggi grandissimi al ceto dei proprietarii e commercianti, ed anche alle classi meno favorite dalla fortuna. E le modificazioni sono:

1- Essa sconta, ossia fa prestiti su cambiali anche a scadenze di 6 mesi e dà facoltà, scorsi i 6 mesi, anche di rinnovare la cambiale mediante il pagamento di un quarto, e talvolta del quinto del capitale. Di guisa che un mutuo fatto con essa sì può così estinguere dopo tre mesi e meno, se si vuole; e anche rateatamente in due anni. A chi conosce quanta agevolezza sia pel debitore la facoltà di pagare un debito a rate e frazioni, e come si concede solo per favore eccezionale dai privati, non può sfuggire la grande importanza di questa novazione.

2- La seconda novazione, non meno importante della prima, consiste in ciò; che essa farà prestiti anche sopra pegni di derrate o di oro: depositi che si fanno presso un terzo consegnatario. Non a tutti è facile trovare una seconda firma di indiscutibile solvibilità per l'avallo o per la garenzia come volgarmente si dice; ma nessun proprietario dei nostri si negherebbe a favorire il suo colono, o dipendente, col tenere in deposito nei suoi magazzini dieci some di olio di lui, per es., e dichiararlo in una cartella a stampa che ha preparato l'ufficio della Banca, verso la quale il consegnatario non assume altra responsabilità che quella di consegnare alla Ditta, e non ad altri, gli oggetti pignorati, se nella scadenza il debitore non scioglie i suoi impegni.

3-Per rendere il credito accessibile alle infime classi sconta cambiali anche da 20 lire in su, con avallo o pegno come sopra.

4-In quarto luogo ha disposto di cominciare fra non guari ad attuare il servizio del conto corrente, e quello di ricevere depositi fruttiferi, prestando il servizio che fanno le Casse di Risparmio. Dimodocchè l'operaio troverebbe modo di accumulare così i suoi risparmii settimanali e costituire a poco a poco un capitale per la vecchiaia o pei suoi figli; col vantaggio di avere nella qualità di depositante a preferenza aperte le porte dell'ufficio per lo sconto; se mai gli corresse bisogno di una somma per i suoi affari. Al proprietario stesso non torna indifferente l'avere a sua disposizione un ufficio dove può depositare un capitale che raccoglie dei fondi, e che per mesi dovrebbe restare infruttifero nei suoi scrigni e tirarne un frutto.

5-  E finalmente per le somme di 10 mila lire in su limita l'interesse al 6,5 per %. Non si potrebbero desiderare maggiori agevolazioni; anzi si vede che ha ridotto il tasso.

(Il Popolano n° 12 del 30 giugno 1884)

Le conseguenze

Pochi giorni orsono si vedeva per la nostra città un movimento insolito. I Rivenditori di generi di privativa chiudere i negozii, caricarsi di piccoli fardelli, e correre dal Sindaco e dal Delegato di P. S. I consumatori affollarsi alle rivendite, con sigari e borse di tabacco in mano, borbottando, bestemmiando, imprecando. Sembrava proprio una dimostrazione di … sigari, tabacchi ecc. ecc. Di che si trattava? Eccolo.

Tutti felicemente ricordiamo i sedici anni del governo de' Moderati, e quanto fecero per salvare l'Italia. Ricordiamo del pari il 1868, quando il ministro Chambry-Digny escogitò il famoso contratto della Regia cointeressata, la mercé della quale si dovea far ritornare l'età dell'Oro, non per i contribuenti, ma per i cointeressati, ai quali per 15 anni si dava facoltà d'incassare più centinaia di milioni di lire. Allora la stampa indipendente e l'opinione pubblica protestarono contro l'immorale contratto, mostrandone le triste conseguenze. La stampa consortesca ed i consorti, invece, mostravano che gl'Italini, i quali non voleano riconoscere tanto bene di Dio che loro si sarebbe fatto pregustare, con il contratto della Regia cointeressata, nonché coi primi 60 milioni di debito proposto dal Chambry-Digny a cui fece seguito un altro di 180 milioni, erano anarchici rivoluzionarii, ingovernabili. La legge passò a gonfie vele, i cointeressati incassarono i milioni a centinaia, i contribuenti esatti nel pagare per fare il bene privato, a danno del pubblico.

Il 1883 avea fine il contratto, ma restavano le Conseguenze. Nel contratto era detto che il Governo nel riprendere la gestione delle privative per conto proprio avrebbe dovuto pagare in oro tutta la quantità de' tabacchi che esistevano nei depositi. I Cointeressati, gente dabbene, disinteressata, amante del bene pubblico privato, volevo dire, pensò di riunire tutti gli avanzi inutili delle diverse fabbriche, unirvi i tabacchi avariati, più tutte le fronde di cavolo che rifiutano le Vacche e le Capre, un po' di concia, e qualche foglia di tabacco, e come genere di prima qualità, lo fece trovare al governo dei trasformisti, dal quale, perché similia similibus, ecc. fu accettato come robba non mai vista ancora e pagata con danaro de' contribuenti. Questi intanto hanno l'obbligo di fumarlo e comprarlo, avendo quel fumo fetentissimo la facoltà di distruggere dell'aria infetta ogni microbo, tenere lontano il Cholera e conservare la propria salute.

Ecco l'origine e la spiega dell'ammutinamento di pochi giorni fa. I Rivenditori che non voleano riceversi i generi, e protestavano, furono calmati dalle buone parole del Sindaco e del Delegato di P. S. ed ubbidienti riaprirono i negozii — i consumatori, dopo qualche ciarla, continuano a fumare, con la speranza che il Cholera non li colpisca— et sic transeat miseria mundì.

BISOGNI AGRICOLI

Corigliano, col suo vasto territorio, su cui dall'arancio al pino crescono rigogliose le diverse famiglie di vegetali, dovrebbe dare al commercio, più di ogni altro paese della Provincia nostra, gran copia di prodotti. Se ciò non si avvera, devesi precipuamente attribuire, sia ai vecchi sistemi di coltivazione e manufatturazione tuttavia in uso, sia alla mancanza di capitali, che allontana i più dalle innovazioni.

Abbiamo, è vero, un certo risveglio per il miglioramento degli olii, per quali oltre il grandioso Opifizio del Barone Compagna, ancor altri se ne veggono di minore importanza, ma insufficienti tutti per la produzione dei nostri uliveti: ond'è che da molti si preferisce la vendita delle olive da una cattiva qualità di olio, essendosi ormai visto che solo gli olii fini trovano buon collocamento nel commercio.

Ancor di positivo immegliamento avrebbero presso di noi bisogno le viti e i vini. E' impossibile a far recedere i nostri coloni da vecchie pratiche nella coltivazione delle viti; anzi essi vorrebbero i loro metodi fossero dagli altri appresi. Che dire poi della fabbricazione del vino? Tutto procede alla carlona. Da qui la cattiva qualità dei vini, condannati al consumo locale, e con quanto danno dei proprietari, lo abbiamo visto nella passata raccolta, pei prezzi bassissimi. Oltre di che la qualità, e il gusto del vino varia da un anno all'altro da un vigneto all'altro della stessa contrada non solo, ma da una botte all'altra dello stesso proprietario; in modo che se uno compra un ettolitro di vino che gli garbi, non è sicuro di averne un altro della stessa portata, anche dallo stesso venditore.

Il prof. Cantani inculca, perciò, di fare dei vini tipi, che abbiano tutti, secondo la qualità delle uve, il medesimo gusto e i medesimi elementi di bontà. Ma questo noi non possiamo sperarlo, senza che si stabilissero presso di noi delle società enologiche, le quali seguendo metodi costanti nella fabbricazione dei vini, potrebbero apportare un grande impulso a quest'altro ramo d'industria agricola.

Una terza e ricca produzione noi l'abbiamo nei cereali; ma  ricchissima potrebbe pur essere se al vecchio vomere dei tempi di Noè si sostituissero quelli che la moderna scienza ci addita.

Da alcuni saggi si è abbastanza veduto la differenza delle arature superficiali da quelle profonde; e, se vediamo che presso di noi il raccolto del frumento è di media di 10 ett. per ettaro; mentre nel Belgio raggiunge i 25 e nell'Inghilterra oltrepassa i 30 Ett. per ettaro, dobbiamo attribuire tali vantaggi ad un lavoro più ben inteso, e ad un sistema di concimazione da noi non usato.

Un gravissimo ostacolo trova però il progredire della nostra agricoltura nelle inondazioni dei fiumi, cui spesso van soggette le nostre vaste pianure. Terreni oggi fertilissimi si vedono domani coperti di sabbia e di ghiaia, e i risparmi, i sudori, del povero agricoltore si trovano irremisibilmente perduti. Ad alleviare siffatti malanni eransi costituiti dei Consorzi fra i proprietari interessati; ma ad eccezione di quello è per l'arginazione del Coriglianeto, gli altri non danno più segno di vita. E' ciò si avvera, quando già si sono sprecate oltre 70 mila lire per il torrente Malfrancati , il quale, dopo tanto danaro speso, trovasi nelle stesse condizioni di prima, produce i medesimi danni, ha rotto gli argini negli stessi punti, scorazza libero e non molestato in mezzo a quei campi, che dovevano dare il pane a tante misere famiglie! Ma perché i signori che sono a capo dell'Azienda Comunale, coloro che amministrano i Consorzi non vegliano, non riprendono le pratiche per chiudere fra ben costrette dighe le torbide acque dei nostri torrenti?

Quel che deve farsi, occorre che si faccia presto. Quanta timidezza procura nella classe degli agricoltori siffatto pericolo, può ognuno immaginarlo. Profondere il sudore e il danaro, spesso mutuato a grave usura per veder tutto perduto in un giorno, in una sola ora, non c'è più bella cosa.

Pertanto, mentre facciamo voti per l'immegliamento dei nostri prodotti agricoli, da cui deriva la ricchezza del paese, ci auguriamo altresì, che pubblici Amministratori e ricchi possidenti, gareggino di zelo per promuovere l'introduzione di nuovi sistemi di coltivazione e manifatturazione, che tanto bellaI pruova hanno fatto in altri luoghi; procurando nel tempo istesso di estendere le cognizioni di agricoltura pratica, mercé apposita scuola che, più d'ogni altra, sarebbe di generale vantaggio.

 (Il Popolano n° 15 del 16 agosto 1884)

Il Popolano n. 18 del 5 ottobre 1884

Il Popolano n. 19 del 20 ottobre 1884

La passeggiata S. Francesco

Rivolgiamo una calda preghiera alla Commissione Edilizia, onde provveda nel miglior modo possibile che la passeggiata S. Francesco riacquisti quella gaiezza e quella festosa armonia che la rendevano sì ricercata. E' uno spettacolo assai triste vedere quegli affreschi in gran parte caduti, tolti i fanali, abbattute le acacie- uno squallore insomma, che fa proprio dolore. La Commissione Edilizia a cui sta tanto a cuore il benessere di casa nostra, vorrà provvedere, e subito, che quel luogo sì delizioso per natura, diventi altresì amabile con i mezzi dell'Arte?

(Il Popolano n° 20 del 5 novembre 1884)

Il Popolano n. 21 del 20 novembre 1884

L'emigrazione

Operai della Provincia di Cosenza, sapete voi quanti vostri fratelli hanno abbandonato l'Italia, nello scorso anno, e nei primi sei mesi del corrente, per andare a cercar pane in altre parti del mondo? Facilmente l'ignorate, ed il Popolano mancherebbe al proprio dovere se non ve lo facesse notare, e non vi facesse conoscere ciò che potrebbe immensamente recarci danno. Il nostro governo ha pubblicato due statistiche, dalle quali rilevasi quanti furono quelli che emigrarono dall'Italia nello scorso anno, e nei primi sei mesi del 1884. Da queste si rileva, che, nel 1883, emigrarono 68.000 operai - artigiani o coltivatori di terra - e fra questi, il maggior numero, è dato dalle provincie meridionali, fra le quali il primo posto l'occupa la nostra Provincia, la quale, nello scorso anno ha veduto partire 7077 de suoi figli; poi viene Potenza con 6627, Salerno con 6288, Campobasso con 4360 ecc. ecc., e se volete paragonare queste nostre provincie con quello dell'alta Italia, troverete la seguente sproporzione; cioè che: Genova figura in quelle statistiche per poco più di 1000 emigrati, Milano, Torino, Venezia ecc. per poco più di 2000, e per molto meno di queste vi figurano le provincie dell'Italia centrale. Qual'è dunque la causa di quest'orribile fatto sociale? La MISERIA!!!...

(Il Popolano n° 21 del 20 novembre 1884)