La Mia Corigliano

di Antonio Russo

1.    ‘U làtrƏ e ru sacristànƏ

Un uomo ammogliato e con i figli, per la verità non troppo attaccato al lavoro, costretto dalle non floride condizioni familiari, decide di andarsi a sfogare ccu ru su' cumbàrƏ, vale a dire con don Marco, primicerio della parrocchia a cui egli appartiene.Entra in chiesa, si segna in fronte con l'acquasanta e si dirige con determinazione verso la sagrestia. La porta è socchiusa e dall'interno non proviene alcun rumore. Bussa due volte timidamente, spinge lentamente la porta, dice ccu permessƏ e, senza attendere la risposta, entra. La sagrestia è deserta. Ritorna sui suoi passi ed inizia a dare uno sguardo lento, attento e panoramico a tutta la chiesa. Non ci sono dubbi, conclude mentalmente, essa è deserta. Il silenzio profondo accentua l'atmosfera di religiosità del luogo sacro. Ma l'uomo, per nulla influenzato da quell'atmosfera, dopo qualche attimo di riflessione, matura la sacrilega idea, approfittando della situazione favorevole, di appropriarsi di qualche oggetto della chiesa. Quindi, deciso e ranquillo, si avvia verso l'altare maggiore. Appena vi giunge, si rivolge ad un Cristo in Croce sistemato lì vicino ed inizia a recitare la seguente filastrocca:

HojƏ Gesù Ccrì'
tiegnƏ mugghjerƏ ecquattrƏ figghji
e ra famƏ mi travagghjƏ
e mmo' m'a spichƏ 'ssa tuvagghjiƏ:
mo' sugnƏ a ra ll' imbierƏ
e mmi pijƏ purƏ 'i cannilierƏ;
mo' cci sugnƏ ccu ra mendƏ
e mmi pijjƏ purƏ ' u SacramendƏ;
tu ' mi guarda fìssƏ fissƏ
e mmi pija pura ' u crucifissƏ.

Il sagrestano, nascosto dietro l'altare maggiore, aveva ascoltato in silenzio ogni parola. Per far desistere l'uomo dai suoi sacrileghi propositi, decide di uscire allo scoperto. Quella inaspettata apparizione lascia come pietrificato l'uomo - ladro e prima che questi possa riprendersi e magari biascicare qualche parola giustificativa, il sagrestano adoperando la stessa arma poetica gli dice:

GhijƏ sugnƏ ' u sacristànƏ
e ssugnƏ 'nu bbuonƏ cristianƏ,
'i r' ammazzarƏ 'un t' ammazzƏ
ma 'na scamacciatƏ 'i trembƏ t'a fazzƏ.

Per non farvi arrossire, non ho di proposito riportate ‘i maliparolƏ, e cchi nnuozzilƏ i 'maliparolƏ (le parolacce, e che grosse parolacce!), che il sagrestano ha indirizzato al malcapitato uomo prima di rispondergli "per le rime ".

2. 'IfravulƏ

 

Durante le fredde e piovose giornate invernali i ragazzi erano costretti a rimanere in casa il pomeriggio a tutto scapito, come si può facilmente capire, della quiete familiare. La eventualità che potessero rimanere seduti attorno al braciere insieme al resto della famiglia non era proprio da prendere in considerazione. Tolto il tempo strettamente necessario per fare i compiti, e solo per i ragazzi in età scolare, rimanevano due alternative capaci di far passare un po' di tempo a questi ragazzi che si sentivano come chiusi in gabbia e per far riposare 'a mìrulla ai presenti. La prima alternativa, vale a dire il ricorso ad un qualunque giuoco, in poco tempo si trasformava in una baraonda e, quindi, se possibile, si evitava; la seconda, invece, era la più ricorrente ed era quella che riusciva a polarizzare l'attenzione di tutti i ragazzi, grandi e meno grandi. Mi riferisco al racconto delle favole. Favole raccontate con aria di mistero e con studiate pause per farle durare il maggior numero possibile di pomeriggi. Allora si chiamavano fràvulƏ ccu ra cura, oggi si sarebbero chiamate favole a puntate. La favola veniva raccontata quasi sempre dalla nonna, da una zia o da qualche anziana donna del vicinato. Raramente le mamme raccontavano favole, perché erano sempre alle prese con le faccende di casa che non finivano mai. Il racconto di ogni favola iniziava con: 'na vota cumƏ ricissƏ, a cui seguiva in coro la voce dei presenti: bbonavinutƏ e terminava con: nuva sumƏ ccà e llorƏ su' llà, a nnuva curghjannƏ e ra llorƏ malannƏ, oppure (variando solo la seconda parte); a llorƏ jittillƏ e ra nnuva turdillƏ. Senza riportare, neppure in sintesi, il contenuto di alcune favole che a detta delle persone anziane interpellate, erano le più raccontate dalle nonne ai tempi della loro fanciullezza ne citerò solo i titoli: Gaccittella, JannazzƏ, ‘I settƏ cammisellƏ, 'A bella sanghƏ e llattƏ.

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