Alla ricerca dei giochi perduti

di Carmine De Luca

La libertà del nascondino

Tirato a sorte, uno stava sotto e contava
- ad occhi chiusi - fino a trentuno.
Gli altri (tre, cinque, sette...) cercavano
nascondigli tra i meno prevedibili. Dopo
il trentuno cominciava la caccia, che si
concludeva in tempi a volte lunghissimi.
Quindi, di nuovo daccapo: toccava allo
stesso di prima ricontare fino a trentuno,
se non era stato abbastanza bravo a
stanare i compagni di gioco e ad evitare
che toccassero prima di lui la "tana".
Oppure toccava al primo che si fosse lasciato
scoprire.
Nascondino o nascondiglio, le denominazioni
più diffuse. Ma è attestato
anche "giocare a tana" o più raramente
- per esempio in provincia di Ferrara
"giocare al cuc". A Corigliano Calabro,
il gioco è denominato 'a petr'i trentunƏ.
Una suggestiva descrizione del gioco
è l'esordio del romanzo di Massimo
Bontempelli, Vita e morte di Adria e dei
suoi figli.
«"Liberi tutti!" è il più bel gioco del
mondo. Non basta fare a nascondersi,
non basta fare a rincorrersi. E' un gioco
complicato e disteso come una rete.
Ecco: v'è un centro, punto di partenza,
e si chiama «la tana». Tirato a sorte il
cacciatore, costui si mette con la faccia
bendata contro la tana, che sarà un albero,
un angolo di siepe, uno spigolo di
muro; gli altri in punta di piedi vanno
a nascondersi, chi qua chi là, mentre
colui conta, forte e con un ritmo lento
che è ben fissato dalla tradizione, fino a
trentuno. Prima ch'egli abbia finito, certo
gli altri son tutti a posto, non si sente
più un respiro, né un rompere di sterpo.
Lui grida «trentuno!» alzando la testa,
strappandosi la benda dagli occhi, e
si volta e guarda intorno. Alberi, siepi,
prati, muri, aiuole; e non un vivente: lui
può credersi rimasto solo nel mondo.
Guarda lo spazio come fa l'avvoltoio,
fiuta come un leopardo, ondula come un
serpente, poi si slancia. Di qualcuno dei
suoi lepri sa già ove s'è appiattato: è
straordinaria l'intuizione che i ragazzi
hanno di questo. Ma non basta andare
a scoprire il lepre nel nascondiglio. Qui
il gioco si complica. Il cacciatore nella
sua ricerca ha dovuto allontanarsi, ha
fatto qualche svolta, non ha più la via e
forse neppure la visuale diretta verso la
tana. Ora il lepre scoperto balza e fugge,
e se riesce a raggiungere lui la tana,
il cacciatore è perduto, l'altro trionfa, e
può di là proclamar libero chi vuole,
anche tutti: «Liberi tutti!». Dunque, snidatolo,
bisogna inseguirlo e afferrarlo a
tempo. Intanto gli altri saltan fuori: chi
di qua, chi di là; s'erano affondati nel
suolo, incarnati negli alberi, disciolti nel-
l'aria; ora avanti ai suoi occhi si riplasmano,
riappaiono; lui s'è voltato, è riuscito
ad afferrarne due, uno per ogni
mano, che è già un'impresa grande, e
sente la voce d'un terzo dalla tana: «Liberi
tutti!». Grande gioco, gioco da generali
d'esercito. Vi eccellono i ragazzi
-tra i sette e i tredici anni. Passati i tredici,
le qualità di astuzia barbarica e selvaggia
prontezza ch'esso richiede si corrompono;
il ragazzo si volge a giochi
più violenti e meno immaginosi, la fanciulla
comincia a impadronirsi del mondo».
C'è chi lo ritiene il gioco più antico
del mondo. Se ne possono intuire le ragioni.
Nascondersi, apparire e sparire,
esserci e non esserci, e mimare, secondo
le regole di una precisa strategia, una
qualche forma di conflitto fa parte dei
riti primordiali. Se è vero che ogni gioco
deriva, per graduale "caduta" dal
mondo degli adulti alla dimensione infantile,
da antichi rituali, il gioco del
nascondino probabilmente mima le azioni
della caccia dei primi uomini. La caccia
aveva regole rigorose. Una volta individuata
dai nascondigli la preda, occorreva
tenersi pronti a sottrarsi con la
fuga ai suoi attacchi o impedire che
l'animale sfuggisse alla caccia e si mettesse
in salvo nella tana.
E' da credere che i bambini già allora,
per imitazione, giocassero alla caccia.
Uno faceva la parte dell'animale cacciato,
gli altri erano i cacciatori. Si giocava,
e ci si preparava alla vita, alle prove
future, alle strategie della caccia reale.
Noi giocavamo a nascondino per diletto,
soprattutto nei tardi pomeriggi della
stagione dei giochi di strada (dalla
primavera al primo autunno). Non era
difficile formare la squadra. Anche i più
reticenti finivano per accettare. Forse
perché celarsi alla vista degli altri è di
quei comportamenti che rassicurano e
dispongono all'affermazione di sé. Il nascondiglio
è punto di osservazione a
senso unico: dal nascondiglio si guarda,
si scruta senza essere visti, senza essere
controllati. Il nascondiglio diventa ombelico
del mondo.
Quando si sceglieva di giocare a nascondino,
non sempre era per genuine
ragioni ludiche. Poteva capitare che la
proposta del gioco celasse malizie di
diversa natura e portata. Magari si pensava
a uno scherzo contro chi stava sotto,
a contare - ad occhi chiusi - fino a
trentuno, e far di tutto per tenerlo sotto
il più possibile (la vittima era sempre il
meno scafato, il più sempliciotto). Magari,
messe insieme cicche raccolte per
strada, si fumava nel nascondiglio l'improvvisata
e molto sghemba sigaretta. O
magari - ancora meno ingenuamente d'accordo
con le bambine, ci si nascondeva
in posti il meno possibile prevedibili
per giocare ai fidanzati, a marito e
moglie, al medico. Il gioco e il nascondiglio
legittimavano tutto. Finanche la
presenza di mamme, nonne, zie, sedute
a sferruzzare fuori di casa, perdeva il
carattere coercitivo e autoritario. Col
gioco ci si sottraeva al loro controllo.
Poteva accadere che gli adulti diventassero
complici nell'indicare i nascondigli
più sicuri o che depistassero le ricerche.
Anch'essi si ritagliavano uno spazio
ludico.
E la loro complicità diventava a volte ambigua.
A me capitò - ne ho la netta
memoria - di trovarmi nascosto sotto
la cupola formata da un lenzuolo che
una giovane promessa sposa ricamava.
Fu lei, maliziosamente, a invitarmi nella
tana, adatta ad accogliermi e a darmi
ricetto. La luce che filtrava attraverso il
tessuto bianco del lenzuolo mi concedeva
perturbanti visioni. Quel che è stato,
non so ora dire. Fu ancora lei che - dopo
quanti minuti? dopo quanti giri di gioco?
- rivelò il nascondiglio a chi, dopo
il trentuno, mi cercava.
Certamente, quella sera, scosso, non
partecipai più al gioco.

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