Le Provviste

Nella cucina tìpica coriglianese particolare e rilevante importanza rivestono "i pruvvistә". Si tratta della lavorazione e trasformazione di numerosi prodotti della terra che saranno conservati per essere poi consumati durante l'inverno - quei prodotti lavorati durante il periodo estivo / autunnale - e durante l'estate - quelli lavorati nel periodo primaverile / estivo. L'importanza di queste conserve alimentari è data dal fatto che esse costituiscono la base essenziale per la preparazione di molti piatti tipici coriglianesi, sia come ingredienti di varie ricette, sia come piatti unici, o come contorni. Il periodo ideale per la preparazione di queste provviste si può inquadrare grosso modo dal primo di agosto ai principi di ottobre, salvo qualche anticipo o ritardo dovuto alle condizioni atmosferiche o all'abbondanza del prodotto da lavorare. In questo periodo quasi tutte le famiglie coriglianesi, come del resto succede in tutto il meridione, si dedicano alla preparazione di queste conserve. E' bello anche sottolineare il fatto che a questa attività si dedicano tutti i componenti del nucleo familiare, anche i più piccoli. Una volta era, e speriamo lo sia ancora, un momento in cui tutta la famiglia partecipava a qualcosa che si riteneva importante per il suo stesso nucleo. La fase preliminare, dunque, per la lavorazione consiste nei reperire, pulire e preparare "i comitә", cioè i contenitori. Questi sono costituiti da bottiglie di birra di piccolo e grande formato, bottiglie di gassosa da un litro e poi ancora vasetti di vetro di varie capacità, e con la chiusura ermetica di lamiera - per quelle conserve che richiedono la bollitura - oppure con la chiusura di plastica - nel caso contrario.

Il periodo della preparazione delle provviste inizia con la più importante -" 'a sarsa" - ottenuta dalla spremitura dei pomodori. " 'A sarsa" è sicuramente la regina delle conserve in quanto, grazie alla sua conservabilità, se ne possono preparare grosse quantità: infatti "quanni si fa ra sarsa" se ne prepara almeno la quantità adeguata per un anno intero. La lavorazione principale consiste nella spremitura dei pomodori per ottenerne il succo con il quale si riempiono le bottiglie per poi tapparle "ccu ri coppariellә " (i tappi corona). Tagliati in quattro nel senso della lunghezza, inoltre, i pomodori si conservano nei "bbuccacә" (vasi di vetro) aromatizzati con foglie di "masalicojә" (basilico) e pezzetti di peperoni, dolci o piccanti a seconda dei gusti. Questo tipo di conserva viene chiamata "i pummarolә a pizzettә" che serviranno principalmente per la preparazione di molti piatti in umido. Ancora i pomodori vengono conservati in vasi di vetro dopo aver tolto la sottile pellicina che li ricopre: si tratta dei "pummarolә pilatә" (pomodori pelati). Tutti questi contenitori di vetro, siano essi bottiglie o boccacce, devono essere infine sottoposti a bollitura a bagnomaria che si effettua in grosse "quararә" (pentoloni). Una volta si usava " 'u trippitә" e la legna da ardere; oggi quasi tutti sono attrezzati col fornellone e la bombola del gas liquido. Ultimo tipo di "sarsa" è il concentrato di pomodoro, chiamato più propriamente " 'a cunservә" (la conserva); si tratta di succo di pomodoro lasciato essiccare al sole sopra "nu j’astierә" (spianatoia di legno) fino a quando non diventa una poltiglia piuttosto densa e concentrata. A questo proposito un detto coriglianese recita: "nn'abbasta nnu cucchiarini pp'aggiustàrә nu piattә 'i past'asciuttә" (ne basta un cucchiaino per condire un piatto di pastasciutta). Una nota di floklore per quanto riguarda " 'a sarsa" consiste nel fatto che una volta come recipienti erano molto ricercate la bottiglie degli sciroppi per la tosse che si prelevavano in farmacia con la prescrizione medica (e quindi gratuitamente) e, anche perché queste bottigliette erano molto comode per via del loro tappo a vite. Il pomodoro comunque non viene usato solo per la preparazione della "regina delle conserve", ma anche per prepararne delle altre che serviranno poi per caratteristici e saporitissimi antipasti e piatti di contorni. Si tratta più propriamente dei "pummarolә janchә salatә" e dei "pummarolә siccatә all'uogghiә" (pomodori bianchi salati e pomodori seccati sott'olio).

Durante il mese di agosto molte sono le conserve che i coriglianesi preparano e che fanno ugualmente parte degli ingredienti necessari per la preparazione dei nostri piatti più tipici. Riveste rilevante importanza la conservazione " 'i ri chiapparellә a ra citә" (capperi sottaceto) che verranno poi usati, oltre che per essere consumati da soli, anche per la preparazione di altre conserve cosiddette "composte".

Un'altra "pruvvistә" importante sono " 'i lumincianә all'uogghj" (melanzane sott'olio). In pratica si tratta di tagliare le melanzane in fili molto sottili - qualcuno addirittura usa tagliarli fini come uno spaghetto - e poi metterli sotto peso col sale per togliere loro “l’amaruostichә” (il senso di amaro). Si scaldano quindi appena nell'aceto, si strizzano per bene e si mettono poi in vasi di vetro aromatizzati con spicchi di aglio e pezzettini di peperoni per poi ricoprirli con olio di oliva. E' una conserva importante sia perché solitamente se ne preparano grandi quantità e anche perché è un ingrediente molto apprezzato negli antipasti o come piatto di contorno a sé stante.

Vorrei adesso accennare a due "provvistә" tipiche ormai quasi del tutto scomparse dalla nostra mensa: sono " 'i corchә 'i ri fichipalettә siccatә e ri 'ncillә 'i milunә". Per tradurre, si tratta di bucce di fichi d'India e bucce di melone essiccate al sole che venivano poi consumate durante l'anno ammorbidendole nell'acqua calda e poi soffritte con olio, pepe rosso, lauro e spicchi d'aglio.
Conserve minori sono da considerare le zucchine a pezzi lessate e conservate nei vasi di vetro con olio, prezzemolo e spicchi d'aglio e anche i fagiolini appena lessati e poi bolliti a bagnomaria in vasi di vetro.

Occupiamoci ora delle altre provviste autunnali. Una molto diffusa è certamente '"A sardella salatә" (pesciolini di sardine appena nati messi sotto sale con pepe rosso più o meno piccante). Il recipiente apposito per la salatura della sardella è il "tarzarulә" (recipiente cilindrico di varia misura di terracotta).

Una lavorazione oggi quasi scomparsa è quella dei fichi secchi che una volta era molto importante e diffusa. I fichi raccolti erano messi ad appassire al sole e venivano chiamati "passulunә". A loro volta venivano infilati uno alla volta, "ccu ru virellә" e venivano poi messi nel forno, finché non acquistavano un bel colore marrone scuro: a seconda poi della forma in cui i fichi appassiti venivano confezionati venivano detti fichi a "filarә" e fichi a "scarcellә" (forma caratteristica triangolare).

Dopo aver fatto seccare al sole i fichi, sezionali nel senso della lunghezza, lasciando unita solo la parte vicino al picciolo; accoppiali a due e farciscili con una mandorla per parte e scorzetta di limone. Puoi ancora unirli a croce con altri fichi farciti. Ecco perché si chiamano nel nostro dialetto "crucetti", Cuoci anche questi fichi in forno leggero fin quando saranno diventati biondo marrone. Conservali in una scatola di cartone intervallandoli con foglie d'arancio, zucchero e cannella.

Altro prodotto particolare ricavato dai fichi era " ‘u murә cuottә" (miele di fichi). Questo denso decotto serviva per la preparazione di alcuni dolci nel corso dell'anno.

Caratteristica del periodo autunnale è la raccolta e la conservazione '"i ru finuocchә 'i timpә" (finocchio selvatico) che servirà poi come spezia per la preparazione di alcune ricette caratteristiche. Ed in partìcolar modo per la confezionatura '"i ra sazizzә" (della salsiccia) e di vari tipi di olive ….

Prettamente autunnale è anche la conservazione delle castagne, specialmente da parte degli Acresi della nostra montagna. Le castagne vengono generalmente lasciate asciugare per poi metterle nel forno sciolte oppure confezionate a filati. Le castagne invece, private delle loro due pellicole e poi lasciate essiccare al sole vengono dette "pastellә", dalle quali, pestate e macinate, se ne ricavava, una volta, una specie di farina con la quale si preparava il Castagnaccio, o pane di castagne, che tempo addietro, si poteva acquistare presso i negozi di frutta e verdura. Oggi questo pane è del tutto scomparso.

Ultima e importante provvista autunnale sono " i Piniculә" (i Pinicoli). E' molto diffuso oggi nel nostro paese andare per funghi nel periodo che va dal 15 ottobre fino a fine novembre nei boschi di pini in località Trentacoste, Paleparto e tanti altri posti sui monti sopra Corigliano e nella vicina Sila. Questo formicolio di cercatori di funghi si accentua principalmente nei giorni festivi quando, ai cercatori abituali e di professione, si aggiungono anche i lavoratori nel giorno del loro riposo, per la soddisfazione di raccogliere con le proprie mani il paniere di funghi da cucinare o da mettere sottolio. Per queste persone è stato coniato un nomignolo che calza loro a pennello; infatti vengono chiamati "I funciajuolә 'i ra ruminicә" (I fungaioli della domenica). E proprio a queste persone vorrei rivolgere un appello: per favore i funghi che non conoscete, non distruggeteli e lasciate che qualcuno più esperto li possa raccogliere; e poi ancora vorrei raccomandarvi di non estirpare i funghi interamente con il loro gambo ma di tagliarli con un coltellino, in modo che le radici possano rimanere nel terreno per facilitare la nascita di altri funghi negli anni seguenti. Terminata la parte "filosofica" passiamo a trattare i due modi principali di conservazione dei pinicoli. Il primo, più diffuso è quello di conservarli in recipienti di vetro sommersi nell'olio dopo averli leggermente scaldati con acqua acidulata e asciugati per bene con uno strofinaccio. Per aromatizzarli meglio e per insaporirli si aggiunge un po' di aglio e pezzettini di peperone, nonché qualche foglia di alloro. Trattati e aromatizzati allo stesso modo, però messi in un "tarzarulә" con abbondante sale e con un peso sopra, vengono chiamati "piniculә salatә". Sia i "piniculә all'uogghjә" che i "piniculә salatә", si lasciano insaporire nei loro recipienti per un po' di giorni dopo di che... per gli antipasti o per contorno, sono una vera "sciccheria". 

 

(Tonino Casciaro)

 

La vendemmia e ...
L'autunno è il periodo della vendemmia, della raccolta dei funghi, nonché della conservazione di alcune spezie che serviranno durante tutto l'arco dell'anno per la preparazione di alcuni piatti tipici coriglianesi. Finita la lavorazione delle provviste estive il coriglianese tradizionalista e "casarùlә" non ha nemmeno il tempo di riposarsi dalle fatiche che già si vede impegnato nella preparazione delle provviste autunnali. Si comincia con la vendemmia, anche se il vino non è una provvista vera e propria: tuttavia possiamo considerarlo tale in quanto l'uva, in fondo, è un prodotto della terra che viene lavorato, trasformato e poi conservato. A fine settembre si procede alla raccolta dell'uva: "zampatә 'ntru parmientә 'ccu ri pierә scavuzә" (pestata nel palmento con i piedi scalzi) viene spremuta nel torchio per ricavarne il mosto che verrà messo nelle botti dove, come per magia, si trasformerà in ottimo vino. Alcuni decenni addietro numerosissimi erano i proprietari di vigne nel territorio di Corigliano; molti di loro erano anche i proprietari delle cantine caratteristiche dislocate, nella maggior parte, sotto il piano stradale "i ra vija nova" (via Roma), '"a ra nchianatә 'i Sambrancischә" (salita San Francesco), "a ru fuossә bbianchә" (largo Curti), "a ru Funnichә" (il Fondaco). Per questi proprietari si trattava di un vero e proprio rito che si rinnovava prevalentemente, e si rinnova in parte tuttora, verso la fine di settembre sempre con le stesse modalità e lo stesso entusiasmo. Il giorno stabilito per la vendemmia tutta la famiglia '"i ru vignaiulә si nni nchianavә a' ra vigna supralirtә a bbinnimarә" (del vignaiuolo se ne saliva in montagna a vendemmiare). Il mosto veniva poi trasportato in paese per essere conservato nelle botti, dove fermentava. Il prezioso nettare veniva "carrijatә sup'u mmastә 'i nu ciuccә 'ntra l'uotrә" (trasportato sopra il basto di un asino negli otri, che erano dei contenitori fatti con pelli di capra). La fermentazione durava fino al giorno di San Martino (11 novembre) per cui fu ben coniato il proverbio popolare "a Sammartinә ogni mmustә ghe fatti vinә" (a San Martino ogni mosto è diventato vino). Si arrivava così, finalmente, alla fatidica data dell'8 dicembre, festa dell'Immacolata. In questo particolare giorno il vignaiolo, per l'occasione trasformatosi in "cantinierә" procedeva "a ntrivillarә i vuttә" (a spillare il vino dalle botti). Anche per questa occasione il popolo ha coniato un altro proverbio che recita "a' ra Mmaculatә ognә vuttә ghe ntrivillatә" (per l'Immacolata ogni botte è spillata), addirittura, molto coloritamente, si dette alla Madonna dellImmacolata l'affettuoso appellativo di '"a Maronna 'i perciavuttә” (la Madonna della spillatura delle botti). Dunque dall'8 dicembre in poi "u' cantinierә" incominciava a vendere il vino provvedendo nel contempo a "farә jittarә u' bbannә 'i Gigiә" (avvertiva la popolazione dell'apertura della sua cantina per mezzo del banditore pubblico).... La gente aveva così la possibilità di acquistare il vino spillato direttamente dalla botte. Ai tempi nostri ciò è quasi scomparso. Per hobby, molti coriglianesi "si 'nchiurinә u vinә" (si fanno il vino) comprando l'uva nella vicina Cirò o presso i magazzini che aprono per l'occorrenza. Per questo motivo il piccolo appezzamento di vigna non è più redditizio e pertanto molti proprietari, specialmente della zona '"i ru vuoschә 'i l'Acqua e dda' Prastia" (della contrada Bosco dell'Acqua e della Prastia) hanno abbandonato il piccolo podere lasciando inselvatichire le vigne…
(Tonino Casciaro)

La marmellata di clementine di Corigliano Calabro è una delizia che può essere utilizzata per accompagnare dolci, ma anche alcuni formaggi saporiti o piccanti. Ecco gli ingredienti e come si prepara.

Ingredienti:

1 Kg di Clementine di Corigliano Calabro

800 gr. di zucchero 

Preparazione:

Lavate bene le clementine, asciugatele, quindi togliete tutta la scorza, facendo attenzione a non prelevare anche la parte bianca amara, e tagliatela a julienne molto sottile.

Pelate i frutti al vivo, eliminando cioè la pellicina che riveste gli spicchi, e tagliateli a fettine.

Ponete sul fuoco una casseruola con acqua; appena si alzerà il bollore, immergete le scorzette di clementine e fatele bollire per 15 minuti, quindi scolate bene.

Preparate uno sciroppo con 0,5 litri di acqua e lo zucchero, unite la polpa e le scorzette delle clementine e fate cuocere per circa un’ora a fuoco dolce, mescolando spesso.

Quando la marmellata sarà pronta, versatela subito nei vasetti sterilizzati e caldissimi,chiudeteli immediatamente, capovolgeteli e fateli raffreddare lentamente in questa posizione prima di utilizzarla.

I pomodori verdi sottolio (dosi per una paio di barattoli medi)

Ingredienti

1 kg. di pomodori verdi , sodi e sani

  sale grosso q.b.

  aceto di vino bianco q.b.

 olio d’oliva extra vergine q.b.

spicchi d’aglio q.b.

 origano q.b.

Preparazione :

1.    Lavate ed asciugate con molta cura i pomodori verdi; se possibile fateli asciugare al sole.

2.    Tagliateli a pezzetti non troppo piccoli, metteteli in una ciotola e cospargeteli di sale grosso. Lasciateli riposare un minimo di 3 o 4 ore, ma se sono grossi e polposi anche di più.

3.    Scolateli dall’acqua in eccesso, versateci sopra l’aceto fino a coprirli completamente; lasciateli riposare una giornata.

4.    Scolate i pomodori dall’aceto, metteteli in barattoli perfettamente puliti e sterilizzati, inframmezzandoli con spicchi di aglio interi o tagliati a fettine e dell’origano. Ricoprite completamente con olio d’oliva, cercando di evitare la formazione di bolle d’aria. Chiudete ermeticamente i barattoli.

5.    A questo punto la ricetta originale prevede di lasciare riposare i barattoli per circa due mesi in un luogo fresco ed al buio. Noi che siamo un pochino paranoici, preferiamo sterilizzare i barattoli pieni, facendoli bollire in acqua per venti minuti, e poi lasciandoli raffreddare nella pentola.

'U puorchi

 

Salsiccia

Con la carne di spalla e con quella ricavata dalle costole del maiale, si prepara la salsiccia. Trita grossolanamente la carne e, ponendola nella madia, la condisci con peperone rosso in polvere dolce e piccante, sale e vino rosso. Impasta a lungo e poi fai riposare per una notte. L'indomani riempi le budella, usando molta cautela perché non si straccino. Ogni tanto sarà opportuno lasciare uscire l'aria e l'eventuale liquido, pungendo la salsiccia con un ago grosso. Lega con lo spago le due estremità e poni le salsicce a stagionare su grosse canne appese al soffitto. Le dosi suggerite sono le seguenti: per ogni chilo di carne, venticinque grammi di sale, complessivamente un cucchiaio di peperone (dolce o piccante) e un bicchiere di vino rosso. 

Sopressata

La sopressata si prepara con la carne della coscia e con del grasso molto compatto che si trova appunto sulla coscia del maiale. Trita grossolanamente la carne e il grasso. Condisci questa carne con sale, pepe nero a grani e macinato grosso, pochissimo peperone rosso in polvere e pochissimo vino rosso. Impasta il tutto, lascia riposare una notte e poi riempi le budella, tradizionalmente usate per la sopressata (colon, rette, ecc.), con molta attenzione perché non restino vuoti d'aria. Lega con lo spago le estremità del budello e lascia la sopressata ad asciugare per ventiquattro ore e, sotto peso, per quarantotto ore. Successivamente appendi le sopressate alle canne per la stagionatura che richiederà circa un mese di tempo. Le sopressate si conservano a lungo, una volta immerse in olio d'oliva, oggi dentro le buste sotto vuoto. 

Capocollo

II capocollo è ricavato dalla carne del collo, usata tutta intera. Questo pezzo di carne va immerso e lasciato per una notte, nel vino rosso; poi va cosparso con abbondante sale. Dopo due giorni, avvolgilo in una membrana ricavata dall'interno del torace sulla quale è stato sparso del pepe nero in grani e del peperoncino rosso in polvere. Cuci la membrana. Lega il capocollo molto strettamente con uno spago e, per mantenerlo dritto, inserisci, sotto la legatura, sezioni di canna. Lascia stagionare a lungo. 

Gelatina

Per la gelatina si usano tutte le parti della testa del maiale, le zampe, la coda, le cartilagini e tutti i ritagli di carne avanzata. Tutto ciò deve cuocere per molto tempo in acqua giustamente salata. Separa poi la carne dal liquido; disossa la carne. Rimetti al fuoco il liquido, aggiungendo aceto (nella proporzione:metà brodo e metà aceto) foglie d'alloro, spicchi d'aglio, origano e un pizzico di peperone rosso in polvere. Lascia cuocere a lungo e poi poni la carne in grossi vasi e ricopri con il liquido che avrai passato al colino. Guarnisci con una foglia d'alloro e lascia raffreddare e condensare. 

Gjusciulari e pancetta

Gjusciulari e pancetta sono due preparazioni simili per le quali si usano la pappagorgia dell'animale (Gjusciulari) o la parte grassa del ventre del maiale (pancetta). Taglia i bordi dei due pezzi di grasso per dar loro una forma regolare. Lasciali sotto sale per venti giorni poi spolverizzali esternamente di peperone rosso in polvere dolce e piccante e appendili ad asciugare alle stesse canne dove fa bella mostra di sé tutto l'insaccato già preparato. Una volta stagionati, 'u Gjusciulari si presenta alto, con la parte carnosa abbondante molto simile al prosciutto mentre nella pancetta predomina il lardo con qualche vena di carne. 

'A 'nnugghja 

Sempre per riaffermare che del maiale nulla va perduto, si possono utilizzare e insaccare anche la trippa, il polmone, la parte della "scannatura" sempre macinati e conditi con peperone rosso, sale, pepe. Sarà ottima per accompagnare le minestre di verdura.

Preparazione del pepe rosso

I tempi moderni, con i loro ritmi, le loro semplificazioni e contaminazioni, ci hanno portato via quella sana mollezza che tanto giovava a un'esistenza rilassata e distesa. Per cui non consentono alle donne, di dedicarsi con tranquillità alle faccende di casa come una volta. Oggi solo alcune massaie coriglianesi si occupano ancora della preparazione del "pepe" rosso; ingrediente onnipresente nei piatti tradizionali della cucina locale. Esso è praticamente usato per condire, conservare, insaporire e quant'altro. Insomma, un vero jolly, senza il quale la nostra cucina perderebbe la sua principale peculiarità. Il suo uso, in un certo senso, è iniziato sicuramente per dare colore alle pietanze, in sostituzione del pomodoro, che prima in inverno non se ne aveva a disposizione, in quanto erano ancora sconosciute le tecniche di conservazione. Si tratta, come quasi tutti i coriglianesi sanno -forse in maniera più dettagliata le donne anziane-, di una farina rossa ottenuta dalla molitura di una varietà di peperone probabilmente autoctona. Il frutto, piccolo di forma conica, di colore rosso brillante, col picciolo verde vivo, viene raccolto da fine agosto a quasi metà ottobre, in condizioni climatiche favorevoli. Il ciclo di lavorazione tradizionale prevede:

a) l'infilatura a uno spago a mo' di treccia;

b) l'essiccamento all' aria aperta (preferibilmente non all' esposizione solare diretta, poiché la perdita veloce dell'umidità pregiudicherebbe le qualità organolettiche del prodotto finito);

c) la tostatura nel forno a bassa temperatura;

d) la molitura in mortai di pietra.

Quando si faceva il pane in casa, anche la tostatura dei peperoni la si effettuava in proprio, nel forno a legna di famiglia. È rimasto vivo in me il ricordo del gradevole profumo emanato dai peperoni tostati, che si diffondeva nei quartieri del vecchio borgo, allorquando questa pratica risultava abbastanza comune. Un altro ricordo è legato all'immagine di "donna Liberata", un'anziana signora, mia vicina di casa, che s' impegnava strenuamente, per diverse ore al giorno, a pestare (a pisèri) nel mortaio di pietra i peperoni. 

 

(Articolo di Natale Madeo sul periodico Punto)