Palazzo Fiore

L'elegante palazzetto del dott. Vincenzo Fiore

di Luigi Petrone(Il Serratore n.91/2012)

Sulla piazza del castello, all'imbocco di via Tricarico, si trova una signorile dimora che cerca di farsi spazio tra il più antico palazzo Abenante e un lungo caseggiato che le sta di fianco. Sulla sovrapporta a raggiera del portone d'ingresso si osserva la scritta "V. Fiore", ad indicare che quella era l'abitazione del dottor Vincenzo Fiore, uno degli uomini più in vista della città nella prima metà del Novecento. Vincenzo Fiore era nato a Corigliano nel 1868 e aveva studiato a Napoli, laureandosi in Medicina nel 1895. Ritornato in patria ottenne la nomina da parte del Comune di ufficiale sanitario, incarico che svolse per circa un quarantennio. Si fece apprezzare per la sua bravura professionale e per l'attenzione che dedicò alle classi meno abbienti, impegnandosi a fondo nella lotta antimalarica fornendo il chinino a chiunque ne avesse bisogno nell'affollato ambulatorio sorto alla marina di Schiavonea (1906). Trovò sempre il tempo, comunque, come un bravo medico deve fare, per frequentare una volta l'anno l'Ospedale de' Pellegrini a Napoli per tenersi aggiornato nelle più avanzate pratiche cliniche. Forse proprio durante uno dei suoi viaggi a Napoli ebbe l'idea di costruirsi, a Corigliano, una dimora simile a quelle che osservava nel capoluogo partenopeo. Questo desiderio divenne realtà quando riuscì a convincere il suo amico barone Francesco Compagna (di cui era anche il medico personale  durante le sue permanenze a Corigliano) a vendergli un pezzo di terreno sopravvissuto al fossato del suo castello. In quel luogo il dott. Fiore fece costruire l'elegante palazzetto, negli anni che vanno dal 1904 al 1910, seguendo le indicazioni progettuali dell'ing. Leonardo Cimino. L'Amato, cronista locale, scrive che già Agostino Saluzzo (1608-1700), nel corso del Seicento, aveva iniziato a spianare il fossato cedendo "...al Comune tutto il fossato del lato Nord, ed il Comune vi fece costruire una strada, che ora dicesi degli Orefici" che andava a collegare la piazza del Fondaco con quella del Muro rotto. Sino alla fine dell'Ottocento il luogo appare ingombro di un muraglione e d'arborature che si fondono e si confondono con il giardino degli Abenante. Un'immagine fotografica dei primi del Novecento (1905) mostra ancora avanzi di muri di contenimento e resti di un fabbricato, addossato a palazzo Abenante, alto e ingombrante del quale non è chiaro se fosse un'ala, poi demolita, del suddetto edificio. Le scuderie dei Compagna, anch'esse ormai scomparse, sorgevano su un lato del fossato da dove erano collegate alla Cavallerizza. Quando poi si rese necessario sistemare al meglio la strada (via Tricarico) che da piazza Cavour portava a Corso Principe Umberto, demolite le scuderie al loro posto fu edificato il caseggiato lungo e stretto che ancora si può vedere; ne residuò un pezzo di terreno buono né a farvi un palazzo né ad ampliare la piazza. Con la sistemazione della strada e di piazza Vittorio (con l'Unità d'Italia lo slargo del Muro rotto era stato intitolato al re Vittorio Emanuele II) questa zona era diventata, difatti, grazie anche alla presenza del castello, il luogo preferito dal notabilato cittadino e qui avevano sede il Casino dell'Unione, la Tipografia del Popolano, l'Ufficio Regio delle Poste e Telegrafo. L'indagine su palazzo Fiore soffre le difficoltà che s'incontrano negli studi poco documentati. La tipologia rispecchia la tradizionale edilizia signorile otto-novecentesca. Tuttavia, diversamente da altri fabbricati, questo edifìcio è un unicum rispetto all'edilizia circostante. Posto quasi di sbieco tra casa Abenante e quella di via Tricarico, non potendo estendersi verso la strada, la pianta del nuovo fabbricato venne accresciuta verso il lato di levante. Ne risultò un immobile con la facciata fuori sesto, debordante rispetto alla linea ideale che avrebbe congiunto le facciate dei palazzi che la serrano ai lati ma, tuttavia, perfettamente inserita nella scena urbana. Veniva così a completarsi una "quinta" cittadina che concludeva in maniera "naturale" la cortina di case che nel tempo era sorta ai piedi del castello. La nobile casa degli Abenante, rimasta a lungo e per secoli, a rendere omaggio al maniero che per mole e storia le incombeva addosso, ora non era più sola. Il palazzo presenta una struttura planimetrica pressoché quadrangolare costituita da un corpo centrale che si continua, sul lato posteriore con un giardino interno; questo assume un'importanza particolare nella qualificazione e vivibilità dell'edificio consentendo agli abitanti di condurre una vita all'aperto senza invadenze visive. L'edificio planimetricamente e funzionalmente è diviso in due aree, una con destinazione commerciale situata al piano terra, l'altra ai piani superiori adibita a residenza2. L'inserimento di questa fabbrica su un terreno in pendìo impose una pianta chiusa. La costruzione si sviluppa su due livelli dal lato della strada, che diventano tre sul lato opposto. La facciata è ritmata da un semplice ordine di cinque finestre. Al piano terra un elegante portone dall'arco bugnato conduce al piano superiore dove è posta l'abitazione vera e propria. La facciata posteriore si eleva su quattro piani e si affaccia su un piacevole panorama rivolto verso il mare. Il piano inferiore è occupato dalle cantine e si apre direttamente sul giardino, mentre i quarti abitativi sono posti sopra. Entrambe le facciate sono aperte da balconate affinchè la luce possa invadere l'edificio nella sua totalità e dare respiro e leggerezza alla fabbrica. L'interno fu decorato con affreschi murali, oggi scomparsi, nel salone e in varie stanze. Un posto speciale infine Fiore riservò al suo studio ingombro di molti libri di medicina a contendere lo spazio a libri d'arte e di letteratura. Nel 1931 Fiore chiese all'amico e geniale artigiano - artista coriglianese Natale Amica (1893 -1960) di abbellire il suo palazzo. L'Amica non si risparmiò e diede il meglio di sé decorando gli interni con affreschi murali, oggi purtroppo scomparsi, che lo impegnarono per lungo tempo. Infine rese più graziosa la facciata di levante, realizzando un'audace balconata - una "loggia" - sostenuta da un ingegnoso ed elegante doppio appoggio a gola egizia dal profilo che s'incurva e si aggetta. Amici ed ospiti illustri frequentarono questa dimora, dove erano "di casa", come si suole dire, il barone Scipione De Rosis e l'amico carissimo Francesco Maradea che a Fiore inviava in anteprima i suoi scritti per riceverne impressioni e sostegno. Il dottor Vincenzo Fiore visse in questa casa sino al 1945 anno della sua morte. Da più di vent'anni la piana era stata bonificata e restituita all'operosità di contadini, agricoltori, commercianti. Vogliamo immaginarcelo seduto nella sua loggia, a godere della brezza, ora benigna, che il vento spingeva dalla marina per ripagarlo, forse, degli anni spesi a combattere i danni della malaria. Oggi è il dott. Domenico Brunetti a conservarne con decoro la storia e il ricordo.