Sutta 'i barcuni 'i ru Municipiji
di Maria Chiaradia

Vico Secondo Municipio…. Sutta ’i barcuni ‘i ru Municipiji
Sono nata e cresciuta, e qui ho vissuto fino alla fine degli anni ottanta, in Vico Secondo Municipio, sutta 'i barcuni 'i ru Municipiji. Era denominato così perché sorgeva sotto i balconi del palazzo municipale. In questo vicinato è nata mia madre, prima di lei i miei nonni e prima ancora di loro i miei bisnonni.
Ubicato nel cuore del centro storico, di esso ne è il cuore poiché vi si può accedere dall’Acquanova, i ra Purtella, i Sannuminichi, i ru Castielli, i ru Funnichi, i ra Jumera, i ru Municipiji.
Le case di pietre addossate l’una alle altre, su più livelli, da bambina mi sembravano cucite da un filo invisibile che li teneva unite e strette tra loro come in un abbraccio.
I barcuni e l’astrachielli delle case erano adornati i rasti i marboni colorati, i masalicoji e di begonije fiorite.
Nelle strade del vicinato pavimentate con grandi pietre lucenti e lisce quanta gente e quante voci hanno animato la quotidianità della vinella! Ricordo la voce di Gàngiuli u ricutteri che, cu ra sporta china i ricuttelli cavuri e con la sua voce possente, gridava “Alla ricotta frisca!”; quella i Giacumini i ru sapuni che nel suo dialetto italianizzato diceva: “Olio vecchio cambia sapone, datemi il vostro olio che avete frijiuto che ve lo scangio con sapone!”. Risento la voce del vecchietto acrese che nel periodo natalizio vendeva lupini urlando a squarciagola “Alla lupina ducia!” . E la voce giocosa i ru capilleri:”Donne donne datemi le ciocche dei vostri capelli che in cambio vi regalo bambole belle”. La voce che mi piaceva di più era quella i Maria a Zinghjira che dolcemente declamava la bellezza e l’utilità degli oggetti che lei vendeva, a palittela i ru vrascieri, u fusilli ppi feri i maccarruni, u crivi ppi cernira a farina. Si vantava di saper leggere la mano ma nessuna donna del vicinato ha voluto mai conoscere il corso del destino!
L’ultima delle voci che ha animato il mio vicinato prima che andassi via era quella di Cosimo detto Sandokan: puntualmente ogni mattina arrivava con il suo motocarro carico di frutta e verdura, chiamava tutti con il suono del clacson e a tutti diceva:”Nipù, pijiti ancuna cosa!”.
Alle voci si sovrappongono le persone che hanno reso la vita della vinella magica… Za Rusina che per curare il suo mal di testa, in base alla stagione, metteva ai lati della fronte una fettina i tritruli o mezza cipulizza. Ricordo che quando di sera a cuccuvella canteva, lei si affacciava sulla porta con in mano la padella di ferro e declamava il rito che allontanava la malvagità di quel canto:”Pigula e pugulanta attija u piguli e ammija u canti, scinna scinna cuccuvella ca ti friji ntra frissura…”. E Ricordo Mamamma i Lazzarena con la farigghija al vento e la mantella nera stretta intorno al petto, spascineri ranni e pittirilli, chesi e stabbili: gli sbadigli che faceva pi cacceri affascina si sentivano fino a ra Purtella.
E Za’ Scavunija i Quartieri che sapeva curare il mal di schiena cu ri cuppietti.
E Nanonna i Vicinzina, ipovedente, che riconosceva tutti dal passo ed era detentrice di preghiere in vernacolo bellissime.
E Papà Pippino, ciabattino e uomo colto, unico del vicinato che ogni mattina leggeva il giornale aggiornando i vicini degli eventi che accadevano nel mondo.
E Mamma i Pippina sua moglie - piccola e minuta nel suo eterno vestito nero che indossava da quando il figlio non era più tornato dalla guerra in Russia - lo guardava con ammirazione.
E ricordo Zà Ndunetta i Rocchi che credeva al potere della formula che i ragazzi le recitavano affinché i suoi piedi e le sue mani si coprissero di geloni: “ Ghia sugni u Ruosili e ru ruosileri, ti lassi i ruosili e mi nni veji”, ci credeva talmente tanto che, puntualmente, i ruosili, arrivavano!
Ma la più magica delle donne era Mammi i Scavunija i Cocareni: quando una donna incinta subiva una paura subito lei preparava “u vini firreti” per scongiurare l’aborto. Sulle ginocchia sbucciate dei bambini metteva il velo delle canne per far rimarginare la ferita e usava questo stesso velo come tampone per il naso che sanguinava. Per il mal di denti consigliava gli sciacqui con il liquore. Per togliere le spine arroventava l’ago sul fuoco e in battibaleno la spina non c’era più. Per ogni male, per la tristezza, per le intemperie della vita usava la medicina dell’amore, della vicinanza, delle attenzioni, delle parole buone del suo cuore immenso che aveva conosciuto dolori grandi ma che era sempre pieno di amore e di comprensione e di perdono, dei suoi abbracci che per tutti erano brodo caldo per ogni ferita dell’anima. E tra tutti rivedo mio nonno, Viti i Tappi seduto nei pomeriggi estivi ntru suppuorti, intrecciare fili di lana rossa e zagarelle colorate intorno ad una coda di volpe e ad un campanello. Incantata guardavo le sue mani forti che con delicatezza creavano i finimenti che avrebbero adornato il collo dei suoi cavalli e dei suoi muli.
E nei miei ricordi a voci e persone si sovrappongono odori e profumi che in ogni stagione aleggiavano nel vicinato…c’adduri i cosi bboni chi si sintiva! a Dicembre, adduri i cullirielli, crustili, pasta competti e giurgiulena. A Pasqua l’adduri i ri gurpinelli, cullirelli, pisaturi e culluri inebriava l’anima. A maggio l’odore buonissimo delle pitte cu meji. Nel mese di agosto, l’odore forte i ru peni attasimi si alternava con quello dolce i ri pitticelli chjini cu passuli , minnielu e meli i fichi. L’odore che più mi piaceva era quello del pane appena sfornato, nel forno i Za Rusina i Pagghjialonga. Tutte le famiglie del vicinato mpurnavini e sciurnavi peni e fresi e viscuotti cu l’aranzi. E c’adduri a settembre quando le donne disponevano in fila i sazieri sul muretto della vinella e, cu ru murteli, colpo dopo colpo, raffinavano i fileri i ru pipi russi mpurneti. L’odore del pepe piccante pungeva il naso facendoci starnutire! E c’adduri i cosi ruci quando c’era l’evento di un matrimonio o di un battesimo, adduri i grispelli, i turdililli, i bucchinotti, i peni i spagna, i suspiri!
D’estate, dopo aver svolte le faccende di case, le donne insieme alle persone anziane e ai bambini si sedevano con le siggiulle davanti alla porta. Le donne anziane raccontavano fravuli che incantavano e spaventavano. Le donne invece mentre ricamavano o lavoravano all’uncinetto facevano gossip.
Lo slargo del vicinato era un salotto all’aperto dove le donne si ritrovavano per chiacchierare, gli uomini per giocare a carte, i ragazzi si divertivano giocando a copparielli, a Za Gannamaria, a ra mucciarella, a ra campena. . Nelle sere d’estate mentre si stava fuori al fresco ognuno prendeva qualcosa e la condivideva con gli altri, nu piezzi i pitta, na fresa cu pummaroli, na mbosta i sazizza, ruva coccialivi, na cosa rucia fatta a ra chesa.
A volte capitava che tra due persone del vicinato - sempre le stesse - si garmeva na scerra. La scerra durava per giorni. Iniziava di prima mattina e con brevi intervalli continuava fino a sera. Si davano tregua solo prima che rientrassero gli uomini dal lavoro per poi ricominciare il giorno dopo. Le scerre erano degli spettacoli teatrali all’aperto, dove tutti potevano assistere senza pagare il biglietto. Quanti calandariji si su canteti le due litiganti e quante espressioni colorite sono volate tirando in ballo le sette generazioni delle rispettive famiglie!
Nonostante le scerre delle due litiganti, tra le famiglie del vicinato vigeva la legge della condivisone, dell’appartenenza, della solidarietà, del rispetto, delle porte sempre aperte e solo socchiuse d’inverno. Se c’era gioia in una famiglia era gioia per tutti, se c’era un dispiacere o una difficoltà ognuno si nni pijeva ra parta.
Il vicinato era una grande famiglia allargata, una famiglia sulla quale potevi contare, che ti aiutava nel momento del bisogno, che condivideva gli eventi belli della vita, era la famiglia con la quale confidarti e raccontare tutto di sé. Una famiglia che non giudicava e che sapeva tenere per sé i segreti che raccontavi.
Scrivere della vinella e di questo amatissimo vicinanzo, è stato scendere nel profondo del cuore, nelle pieghe dell’anima, in quel luogo segreto dove vivono i ricordi, gli anni belli dell’infanzia e della giovinezza.
Considero gli anni vissuti nella vinella di Vico Secondo Municipio, anni magici, indimenticabili. Nutro per essa un amore incommensurabile perché tra le sue case e nelle sue strade per un secolo e mezzo è stata scritta la storia della mia famiglia!
Nel mio vicinato ho lasciato un pezzo di cuore e nel mio cuore la vinella ha un posto speciale.
Alle persone con le quali ho condiviso le vicissitudini di quegli anni semplici e importanti voglio un mondo di bene perché li sento parte della mia famiglia. Ognuna di loro è una Persona bella e cara che porto nel cuore.
Sono grata a Giovanni Scorzafave per avermi dato la possibilità di dare voce ai miei ricordi, per la pazienza e la perseveranza che ha avuto con me, per tutto il tempo che ha aspettato questo mio scritto.