S. Antonio

di Giampiero Gallina

Ogni angolo racconta una storia ed ogni balcone ricorda un viso

Zona S.Antonio(foto di P.Sosto)
Zona S.Antonio(foto di P.Sosto)

Questo rione aveva ed ha, tuttora, come punti di riferimento storici la via Margherita, la Villa omonima, la chiesa di S. Antonio con il Collegio "Garopoli". C'era, inoltre, in prossimità dell'incrocio una bella fontana, a fischi]a, di cui ormai si ricorda solo chi ha superato i sessant'anni. All'inizio degli Anni Cinquanta, sul lato destro di via Margherita, si affacciava il tabacchino dove, oltre alle sigarette sfuse, si vendeva anche il sale a peso. Inoltre, facevano bella mostra di sé due bar, uno dei quali, l'Ariston, appena aperto, dava decoro a tutto il rione per la sua eleganza. I barman accoglievano la clientela con la giacca bianca ed il papillon nero; al suo interno, oltre ai servizi da banco, vi erano i biliardi, una sala da thè ed un'altra dove, la sera, si poteva assistere alle trasmissioni televisive poiché la maggior parte delle famiglie non possedeva ancora un televisore. Il commendatore Massimilla, proprietario del bar, fumava davanti all'ingresso , con la sua figura austera ed elegante, incuteva timore e rispetto. Sull'altro lato, spiccava l'unica pompa di benzina del paese che Mastro Totonno Fiore azionava con una manovella per mezzo della quale due grandi cilindri di vetro si riempivano e si svuotavano erogando alternativamente il prezioso liquido. Se si svoltava a sinistra salendo verso la chiesa, non si poteva fare a meno di sostare dinanzi alla forgia di Fofonso il napoletano. A noi ragazzi piaceva osservare quell'uomo robusto che modellava i ferri da cavallo cantando ‘O sole mio con la sua voce stentorea che si diffondeva per la via. Martellava sull'incudine il ferro incandescente a ritmo musicale prima di immergerlo nella tinozza dell'acqua provocando il caratteristico sfrigolìo. Mi ricordava, con la sua corporatura possente, il dio Vulcano che costruiva le armi degli eroi omerici. Questo era, in breve, S. Antonio che, però, cessò di essere solo un importante luogo di transito all'ingresso del paese per diventare un vero e proprio rione, o qualcosa di più, quando furono costruite le case popolari ai piedi della collina sovrastata dalla chiesa di don Gigino Gravina che, alcuni anni dopo, sarebbe stato sostituito dal giovane e dinamico don Antonio Ciliberti. Le case popolari erano e sono chiamate così ancora oggi, a distanza di tanti anni, ma in realtà non avevano nulla di popolare, almeno nell'accezione minimale del termine. Si trattava, infatti, di un moderno edificio costruito secondo i canoni previsti dal Piano Fanfani INA Case. Ventiquattro appartamenti omogenei, con lo stesso numero di vani e, soprattutto, servizi che non erano ancora presenti nella maggior parte delle abitazioni del paese. Ci sentivamo dei privilegiati e, per quei tempi, forse lo eravamo. Gli inquilini di questo grande edificio appartenevano, infatti, quasi tutti al primo gradino di quel ceto medio allora in ascesa, costituito da impiegati, insegnanti e, soprattutto, vigili urbani. Quest'ultima categoria sociale era la più numerosa, infatti, erano ben otto i vigili che abitavano lì, e che costituivano un problema per noi ragazzi, preoccupati dalla loro costante presenza che ci costringeva ad interrompere i nostri chiassosi giochi e le interminabili partite a pallone per strada o nella villa. Molto spesso, al loro passaggio, ci disperdevamo in diverse direzioni, naturalmente, dopo aver salvato il pallone che, talvolta ci veniva requisito o bucato. Nutrivamo un grande rispetto nei loro confronti perché rappresentavano la legge, e la nostra vivacità non raggiungeva mai i livelli di scostumatezza odierna. Eravamo una torma numerosa e turbolenta di ragazzi di ogni età perché in ogni famiglia c'erano minimo due figli, ai quali spesso si univano altri ragazzi provenienti dal vicino rione dei Gradoni S. Antonio. Di fronte alle case popolari, dall'altro lato della strada, c'era, e c'è tuttora, la fila delle case di Don Peppe, preesistenti al nostro arrivo, abitate da poche famiglie; brava gente con figliolanza più o meno numerosa. Fraternizzammo subito e si può facilmente immaginare come questo vicinato costituisse una piccola cellula demografica, molto circoscritta ma pullulante, vivace e solidale. Noi ragazzi riempivamo la strada da mattina a sera, specialmente durante la bella stagione, giocando a pallone, a nascondino, alla mazza, litigando e rappacificandoci, interrompendo i nostri giochi e le nostre battaglie al passaggio di qualche rara automobile. Ogni sera, però, al tramonto c'era una sosta obbligatoria e più lunga delle altre, causata dal passaggio di una magnifica giumenta bianca che, condotta dal padrone, conil suo lento e risonante incedere, andava a riposare in una stalla situata in un piccolo avvallamento sotto la strada. Altre volte, invece, ci fermavamospontaneamente perché attratti dalla musica proveniente dalla casa di Annetta De Luca, una minuta e gentile signora, amica di tutti, il cui figlio maggiore organizzava spesso con i suoi amici e colleghi studenti universitari una piccola band musicale. Gigino con la chitarra accompagnava Ettoruzzo che cantava Manuela e Malafemmena; e noi tutti, fuori, davanti alla porta, zitti, a bocca aperta. Non mancavano le belle ragazze, alcune delle quali erano già in età da marito e, quando Mastro Giacchino, il postino che abitava nello stesso palazzo, passava la mattina, le chiamava per nome. Wanda, Pupetta, Teresa, Diletta - per ricordarne solo alcune - si affacciavano per ritirare la posta; ma si affacciavano anche tutti coloro che aspettavano notizie, desiderate o temute, provenienti dall'Alta Italia, dall' America o dalla Germania, dove quasi ogni famiglia aveva un parente emigrato. Era il momento in cui le mamme, interrompendo i servizi di casa, scambiavano qualche chiacchiera raccontandosi i problemi che avevano, suggerendosi reciprocamente ed in gran segreto l'ultimo rimedio inventato contro i reumatismi o discutendo se fosse meglio aggiungere alla minestra il prezzemolo o il sedano. Nel nostro vicinato, come negli altri, si rispettavano le usanze, specialmente in prossimità delle feste più importanti. Una settimana prima delle feste di S. Giuseppe e di S. Francesco, noi ragazzi, guidati da quelli più grandi, andavamo a raccogliere frasche secche nelle timpe scoscese, sotto il Collegio "Garopoli". Le ammassavamo in un angolo dietro le case per bruciarle nei pagliari durante le tre serate che precedevano la festa. Ogni sera, spento il fuoco, intorno al quale grandi e piccoli avevamo sostato a lungo, portavamo in quasi tutte le case una palettata di brace augurale che veniva sistemata nei bracieri. Il giorno della festa ci si vestiva bene e, al passaggio del santo, le mamme stendevano ai balconi la coperta buona del corredo. Lo stesso succedeva in occasione della festa di S. Antonio, durante la quale il rione si riempiva di bancarelle ed era visitata dalla gente di tutto il paese. Veniva anche una banda musicale da fuori che suonava la sera fino al momento dei fuochi artificiali, che prevedeva anche lo scoppio e l'incendio del ciuccio di cartapesta. Con il passare degli anni, com'è nella natura delle cose, qualcosa è cambiato nel rione: la fischija è stata smantellata e metà della villa, nella quale c'era un gigantesco eucalipto, è stata sacrificata per far posto al nuovo ufficio postale. Dai nostri balconi abbiamo assistito al cambiamento di un'epoca: asini, muli e carrozzini hanno ceduto il passo gradualmente, prima, a biciclette, vespe e lambrette; poi, alle automobili, sempre più numerose. Era il progresso (!?). A mano a mano che il tempo passava e crescevamo, ognuno prendeva la propria strada e qualcuno, fra il compianto di tutti, passava a miglior vita prematuramente. I nostri genitori, rimasti soli ad invecchiare, assistevano con spirito di rassegnazione all'arrivo di inquilini che sostituivano i primi. Alcuni appartamenti sono ormai vuoti e disabitati, ed i nuovi inquilini che ci hanno sostituito nemmeno ci conoscono. Quando ripasso da quelle parti, mi guardano come un intruso e perciò mi sento a disagio, anche se ogni angolo mi racconta una storia ed ogni balcone mi ricorda un viso, una voce, un richiamo. Oggi, solo pochi di quei ragazzi, ormai maturi signori di una certa età - Stefano, Pinuccio, Diletta - abitano ancora lì, numi tutelari di un luogo dell'anima, testimoni di un'epoca che ormai esiste solo nella nostra mente

(Fonte : Il Serratore di E. Viteritti)

(Articolo del "Cor Bonum" n° 7 del 10/4/1955) 

Il Rione S. Antonio che poteva considerarsi fino a qualche tempo fa una località periferica, animata unicamente dal transito di veicoli e dalla gente rientrante o recantesi al lavoro, ha assunto in questi ultimi anni, l'aspetto di uno dei più ridenti quartieri di Corigliano. La sua estensione per lungo tratto sull'ampia arteria litoranea che l'attraversa gli conferisce un'importanza di prim'ordine, che nulla toglie alla sua pittoresca ubicazione. Dal colle che lo domina, verdeggiante e profumato di zagare, ove s'adagia in una linea armonica la monumentale Chiesa di S. Antonio con la sua più alta cupola lussureggiante, quest'angolo di Corigliano offre il più suggestivo panorama del nostro mare, in un respiro di pianura e di cielo aperto. Il lento ma progressivo sviluppo di questa zona, che costituisce oggi il centro nevralgico di Corigliano, è dovuto a vari fattori che vanno dall'incremento edilizio al crescente intensificarsi del traffico, dall'istituzione di nuovi importanti corsi di studi nell'Istituto "Garopoli" alla elevazione a parrocchia dell'antica Chiesa di S. Antonio di Padova. Oltre alle numerose costruzioni ed ampliamenti di edifizi privati, vi sono sorti, per l'Ina-Casa e per l'Istituto delle Case Popolari, due imponenti caseggiati con varie diecine di appartamenti, i quali hanno assorbito numerose famiglie, aumentandone notevolmente la popolazione, mentre è in procinto di essere iniziata la costruzione di un terzo vasto edifizio Ina-Case. Vi sono anche sorte officine con servizio completo di lavaggio e ingrassaggio macchine, autorimesse, posti di rifornimento, altri esercizi pubblici. E tutto ciò è valso a crear vita e movimento laddove, alcuni anni fa, sembrava trovarsi in un piccolo paese sperduto tra i monti II traffico che si svolge nel Rione S. Antonio in tutte le ore è addirittura impressionante, tenuto conto di quello che vi si svolgeva sei o sette anni orsono: diecine di autocorriere che s’incrociano, partono e arrivano quotidianamente, facendovi sosta per lasciar .salire o scendere i passeggeri: centinaia di automezzi d'ogni genere e d’ogni provenienza, che arrivano o transitano percorrendo la nostra bellissima litoranea jonica. Anche la costruzione delle centinaia di case coloniche attuate dall’Ente Riforma nell'estesissimo territorio di Corigliano  ha contribuito sensibilmente all'intensificazione del traffico cittadino... Ci auguriamo che la rinascita della nostra Città, oltre a spingere i cittadini alla iniziativa privata, come già abbiamo avuto il piacere di ammirare nella costruzione del modernissimo "Gran Caffè Ariston” da parte del Comm. Massimilla, possa spingere anche e soprattutto i responsabili della cosa pubblica, cui dovrebbe star molto a cuore la valorizzazione e il bene di Corigliano, al disopra di ogni bega e di ogni partito.