I Vasci
di Leonardo Antonio Zangaro

I Vasci
Rione “I Vasci” così denominato questo quartiere dovuto alla sua ubicazione sotto il Castello e la chiesta matrice di Santa Maria Maggiore, con notevoli dislivelli, difficilmente raggiungibile con mezzi veicolari a quattro ruote, conosciuto all’esterno come Via San Nicola. Una zona con un’alta densità demografica negli anni 60, si stava in media 8/10 persone in una stanza o due, con il gabinetto dietro la porta d’ingresso, i più fortunati aveva l’acqua in casa, ma fuori sulla strada vi erano i famosi canali dove la gente andava a riempire i vari recipienti i vummuli in argilla, mentre i panni venivano lavati ‘a ra jumara, la fiumara coriglianeto, o quando si trattavano quelli di piccoli dimensioni agli stessi canali. La vita fondamentalmente si svolgeva fuori dalle abitazioni, gli uomini uscivano la mattina presto a lavorare principalmente nei campi, i ragazzi molti andavano a lavorare e alcuni andavano a scuola, le figlie aiutavano la mamma a fare le faccende di casa e poi molte andavano ad imparare a cucire e ricamare a mano il proprio corredo. La zona non aveva palazzi di pregio, e le case erano attaccate l’una a l’altra in continuità, con altezza variabile, tutte costruite rigorosamente in mattoni e pietre con copertura in coppi. Ci si conosceva tutti, non lo so perché ma in un certo senso eravamo tutti parenti, cugini, compari, si sapeva tutto di tutti, non vi erano segreti e ci si voleva molto bene. La zona non aveva grandi attività commerciali, anzi mi ricordo ve ne erano solo due, Zarafina ‘a ghegna, una merceria e un alimentari, per il resto si doveva andare ‘a ru Funnichi, a piazza Cavour, dove c’era un po’ di tutto. Inoltre gli uomini quando tornavano dalla campagna molte volte portavano frutta e verdura che dopo averla mandata agli amici più intimi, il resto si vendeva per il vicinato; vi erano molti venditori ambulanti, il latte veniva portato la mattina presto da Mazzone che aveva le pecore e capre ai piedi del paese, e quando arrivava qualcosa di nuovo veniva Gigi con la tromba a ghittèri ‘u banni (avvisare la popolazione). La gente non si conosceva per il loro cognome, ma un ruolo importante era il soprannome, tutti ne avevano uno, e in questo modo era molto facile individuare la famiglia. La domenica molti erano in casa, i maschi uscivano in Piazza del Popolo, all’ Aquanova, a parlare di lavoro, e a scambiare informazioni, le mamme preparavano il pranzo facendo ‘a pasta ‘i ra casa ed altre pietanze. La mattina ad una certa ora passava ‘a Cornicella (piccola croce in bronzo) e le mamme si affrettavano a preparare i figli al suono di una campanella per mandarli in chiesa a sentire la messa e a fare catechismo.
Di pomeriggio il quartiere si animava, si giocava senza nessuna preoccupazione, anche se a volte qualcuno arrivava a casa con la testa insanguinata soprattutto quando si giocava con ‘i fricciulli, fionde fatte a mano con legno elastico e caricate con pietre. I giochi erano molto semplici, si giocava ‘a ra petra ‘i ru trentuni, a nascondino, a palla velenosa, si disegnava per terra con quello che si aveva a disposizione una campana, oppure si costruivano i famosi carri e ci si dondolava, mazza e trugghji, o a spacca carruocili. Molte volte si facevano delle sfide con gli altri rioni, in quel caso prendeva il comando il più temuto e si andava in maniera compatta tutti dietro di lui. Nel periodo di San Giuseppe, per tre giorni prima della festa del santo la sera si facevano ‘i pagghjari. Tutti partecipavano mettendo un pò di legna, si faceva una grande catasta e ci si riuniva intorno e si festeggiava, una volta finito il fuoco, per chi non era stato presente gli si portava la brace a casa per riscaldarsi. Ad ogni lieto evento si partecipava con molta gioia e allegria, matrimoni, fidanzamenti venivano fatti in casa, e lì si presentava l’occasione per esprimere simpatia e attenzione per l’altro sesso. Anche quando succedeva qualcosa di luttuoso, tutti, dico tutti, si prendevano una parte di dispiacere e vi era molto rispetto e considerazione per la famiglia che aveva subito tale dolore. A Pasqua poi si preparavano ‘i culluri, la più grande si faceva per il capo della casa a 12 uova, poi si passava a quella ‘i r’agurij‘i ra chesa a 10 uova, poi le borsette per le femmine con l’uva passa e ru pisaturi per i maschi. Quando qualcuno era stato oggetto di malocchio c’era za Carmenia ‘i ra gnatta, cu ra spàscina, pronta a togliere il malocchio a tutti, aveva bisogno di un’oggetto della persona interessata e dopo alcuni passaggi rigorosamente a mente e numerosissimi sbadigli, sintomatici che la persona era oggettivamente attaccata da malocchi, ti dava il rimedio per eliminare tale disagio, facendoti sciacquare il viso in un bacile con alcune alchimie e poi importante dopo aversi lavato il viso buttare l’acqua fuori aspettando il primo che passava, ppi si pigghjèri ‘a spàscina. Anche le liti, le cosiddette scerre, chiaramente erano molto sentite, il più delle volte scaturivano per questioni banali, avevano risvolti a volte drammatiche per intere giornate. La televisione presente solo in alcune case era comunque a disposizione di tutti, quando c’era qualche spettacolo ci si ritrovava tutti seduti per terra a vedere il programma interessato. Negli anni settanta/ottanta il quartiere si spopola, aumenta il benessere e si cercano le comodità, poi purtroppo a causa di alcuni crolli di dissesto fu quasi completamente abbandonato.