" 'Arrieri 'i vallә " (Case Popolari -INA case)

di Nellina Madeo

Le "case popolari della via del cimitero", così venivano identificate le nuove palazzine INA CASE per distinguerle dalle stesse di Sant'Antonio, non riusciranno a diventare mai un vero e proprio quartiere. Troppo distanti dai punti nevralgici della vita del paese che, all'epoca, erano "vissuti" e popolati. Nessun riferimento storico, una fontana, una scalinata, legava i tre caseggiati al resto del paese... il cimitero poteva semmai essere un riferimento negativo per quei tempi di ingenua superstizione. Solo, di fronte, ma a distanza, troneggiava il nostro bel castello. Quei tre caseggiati si caratterizzarono subito, però, come un luogo di "modernità"; precorsero i tempi dei condomini, delle porte "chiuse" che si contrapponevano alle porte "aperte" e con le chiavi nelle serrature "i ri vicinanzi". Non ricordo, infatti, nessuna "vecchierella a filar in su la scala" di leopardiana memoria né, se non di rado, qualche litigiosa alzata di voce fra poche famiglie. Ci sentivamo, più che un vicinato, un quartiere abitato, del resto, da famiglie prevalentemente della classe impiegatizia medio borghese che avevano come segno distintivo la riservatezza. Il "rione-non rione" si caratterizza comunque, nella mia personale valigia di immagini giovanili, come un microcosmo di persone, personaggi e personalità... al femminile! Nel ripercorrere quegli anni, infatti, le figure, gli aneddoti e i personaggi formano una galleria di ritratti di donne. Forse non a caso le "case popolari della via del cimitero" venivano identificate nei "favolosi anni '60" con la nomea di "quartiere di belle ragazze"! Quantomeno di tante ragazze ... le più grandi: Italia, Linda, Franca, Nini, Mariolina, Virginia, Mariuccia, Pupetta ... e poi noi, più piccole di qualche anno: Silvana, Rosanna, Nuccia, Rosalba, Maria Rosaria, Gabriella, Sarina, Laura, Carmen ... La vita in quegli anni era semplice, il boom economico era appena agli inizi, ci si accontentava di poco. La mia bisnonna, chiamata da tutti i ragazzi del luogo "mamamma" trascorreva il suo pomeriggio a "dar da bere agli assetati" giovanotti che giocavano al pallone, nello spiazzo antistante le case, perché così diceva il Vangelo! Lo spiazzo diventerà con il tempo l'elemento urbanistico che in parte caratterizzerà il luogo. Che dire, poi, di Rosaria, mia nonna bidella per dovere, come Lucia e Rosina anche loro "costrette" a lavorare in quanto vedove di guerra e con famiglia da mandare avanti? Nelle scuole elementari delle "Clarisse" mia nonna ha "cresciuto" intere generazioni.

Attenta e precisa, ha sempre richiesto a tutti parenti e conoscenti rigore intellettuale e comportamentale. Delle anziane del quartiere occorre necessariamente ricordare donna Lauretta Cardamone. Matriarca di una famiglia numerosa di impiegati, cucinava su una "furnacella" a carbone che teneva sul balcone. La locale "leggenda metropolitana" raccontava che tale era il profumo emanato dalle succulenti pietanze di donna Lauretta che, il direttore didattico Guidi, si sporgeva dal piano superiore dove abitava e mangiava pane e "adduri". Nella famiglia, poi, c'era lei: Elena Cardamone, detta Linarella . Maestra "giardiniera" secondo la terminologia di allora, donna di bellezza concorrenziale alle famose attrici maggiorate di quei tempi, con la sua presenza, riempiva quei luoghi e quegli anni. Erano effettivamente altri tempi e la signorina Cardamone andava a scuola... in taxi! Un mito! Per Laura e Carmen, per me e le mie sorelle Maria Rosaria e Gabriella, (le gemelle Anna e Carmen erano più piccole) rappresentava la donna dei sogni. Ciò raggiungeva il culmine nei periodo antecedente il Carnevale. Single un po' per scelta un po' per vicissitudini personali, quasi tutte le sere scendeva nel nostro minuscolo tinello a "stare in famiglia e a colmare, così diceva, la solitudine". Mio padre, circondato da nove "femmine" le cedeva il posto al divano e tentava di seguire la televisione! Noi aspettavamo di sera in sera, la fatidica domanda: "Cumma', come le vestiamo quest'anno le bambine?". Dal giorno dopo il tinello diventava un laboratorio di creatività; pannolenci, nastri e carta crespa occupavano per giorni il tavolo e dopo un po' le maschere erano pronte... ma il bello doveva ancora arrivare: zia Linarella ci truccava con i suoi prodotti e noi eravamo capaci di stare zitte per ore, di non mangiare e men che meno di lavarci pur di non perdere il suo maquillage! Ripercorrendo a ritroso quegli anni, tornano alla mente anche fatti che sembravano dimenticati. Uno di questi lo capimmo molto dopo perché non potevamo capire come una ragazza che fino a poco tempo prima vestiva come noi, dopo un periodo di assenza comparve vestita da suora. Era Maria Carmela Felicetti che divenne ed è ancora, Suor Eligia dell'Ordine del Sacro Cuore. Sempre sul filo della memoria ritornano alla mente altre donne delle "case popolari della via del cimitero": la professoressa Camodeca con il suo andare ciondolante riconoscibile da lontano e la mite signorina Monte che nello scantinato dello stabile aveva aperto un laboratorio di alta sartoria e insegnava il mestiere di sarta a molte discepole: 'ntrillante per mesi perché la maestra non affidava facilmente altri compiti se prima non si possedevano le basi dell'arte sartoriale. Mi fermo qui con le persone anche se non posso non ricordare la benevolenza di Annina Sosto che ha sempre aperto le sue porte agli amici dei figli e alle feste rigorosamente tenute nella sua casa. Anche i luoghi meritano un significativo "amarcord"; ho già accennato alla "timpa" sul retro delle palazzine, una collinetta che in cima diventava pianeggiante e che ha rappresentato a lungo il luogo della libertà . Scalarla per raccogliere le giunchiglie e le primule in primavera e i ciclamini in autunno, scomparire per un po' dal vigile controllo dei genitori e scoprire la visione del mare, rappresentava la trasgressione ingenua di quei tempi innocenti e anticipava la "trasgressione" vera, si fa per dire, cioè andare ad assistere alle performance musicali della band dei…… che in un vicino garage provavano i loro pezzi. Lo scorrere della vita era segnato da piccole ritualità: andare a comprare un litro di spuma alla domenica, ascoltare al mangiadischi che mio padre posizionava sul muretto del balcone le canzoni di Sanremo e poi... l'evento: l'arrivo del circo Zavatta o di tanto in tanto l'arrivo delle giostre pomposamente chiamate Luna Park. Noi, non più bambine, in quei giorni fantastici scoprivamo e incominciavamo a percorrere le vie dei primi amori, i primi sguardi, i primi batticuori. E' nello spiazzo che nascono le storie sentimentali, alcune delle quali durano ancora, altre interrotte dall'inesorabile scorrere del tempo assegnato a ciascuno di noi. Poi, all'improvviso, una "ruspa" spiana la "timpa": dovevano costruire una "villa": le tre palazzine perdono l'identità delle "case popolari della via del cimitero"! L'urbanizzazione e il boom dell'edilizia attira verso lo Scalo; il rione-non rione cambia connotazione e se la memoria è l'esperienza del passato che resta dentro di noi e ci aiuta a capire chi siamo e cosa vogliamo, quelli vissuti in quei luoghi restano i "migliori anni della nostra vita". Il ricordo ha e deve avere, comunque, anche una funzione affettiva perché ci permette di tenere in vita il legame con luoghi e persone che nel tempo si sono allontanate da noi, e allora la memoria non può che andare a Premio Villeggiante,a Gianfranco Cardamone, a Mimmo Avella, a Ginetto e Franco Monte e a Mario Palma.

(dal Serratore)