(da un racconto di Francesco Antonio Quartieri)
Piazza del Popolo(acquanova) negli anni '20
… all’acquanova, la sera arrivavano i contadini dalla campagna e misuravano le loro merci nel minzullo in pietra. La domenica poi si trasformava in un grande mercato, affollatissimo
dalla mattina alla sera. D’estate era tutta piena di cocomeri e meloni e tutte le specie di verdure. I pesciaiuoli arrivavano dalla marina e vendevano i loro pesci su appositi marmi. C’era la
beccheria municipale. Dalla montagna portavano salme di legno. I negozi vicini e quelli su via Roma erano tutti aperti.
(Il Popolano N.1 del 6 Gennaio 1948)
Piazza del Popolo (Acquanova)
In ogni tempo ed in ogni luogo la Piazza ha avuto uno speciale valore rappresentativo; quello, cioè, di rispondere a necessità di sosta e di convegno, di funzioni e manifestazioni varie, di
speciale decoro cittadino. Questo particolare significato della Piazza, intesa come centro di vita sociale, è noto a tutti e, senza voler fare dell
'esibizionismo letterario, possiamo ricercarlo sino nei vecchi esempi dell'Agorà greca e del Foro Romano. Ma noi non abbiamo nessuna intenzione di rubare il mestiere ai tecnici dell'urbanistica
né agli studiosi di cose antiche. Vogliamo solamente parlarvi della nostra Piazza del Popolo così come la vediamo noi. E' una piazza modesta che non fa pompa di nessun monumento di dubbio gusto
e, sebbene viva all'ombra di un grosso palazzo pretenzioso, che, architettonicamente dice ben poco, ha tutta l'aria di dimenticarlo. Ha una fisionomia propria che nulla riesce ad alterare. In
questi recenti anni di convulsa democrazia, ha accolto nelle sue braccia generose, comizi e riunioni; le sue orecchie di sasso sono state graffiate da urli incomposti di rivoluzionari minorenni
che volevano impiccare clericali e reazionari, da melliflui discorsi di clericali che volevano ridurre gli altri a più miti consigli con l'olio santo. La Piazza ha sorriso per non usare scortesie
agli ospiti e dopo poco si è ricomposta nella sua calma imperturbabile di contadino antico che la sa lunga e sa quello che vuole. E' una Piazza che non ama le irregolarità; pretende che tutti i
giorni, il più spesso possibile, le si faccia una pulitina al contrapelo: e il baldo brigadiere, con impegno veramente sportivo e cavalleresco, l'accontenta con gioia. Non ama le tristezze; e i
tecnici, con perizia e comprensione, l'hanno raccordata con dolcezza ad una ripida discesa che costringe i cortei funebri ad andare giù a rotta di collo e a sostare in Piazza il meno possibile.
Vuole vivere in allegria: e per questo i venditori di ortaggi non cessano un istante di offrirvi urlando la loro mercé, né il Combattente la smette di lacerarvi i timpani con le canzoni del
giorno, né il Gatto Bianco vi concede un po' di respiro con i suoi cantanti da notte. Il pubblico cerca di fare del suo meglio. Tutte le ore sono buone per impalarsi in Piazza del Popolo
assumendo il monumentale atteggiamento di candelabri con i moccoli. Specialmente ora che i nostri bravi giovinotti hanno abbandonato la tradizionale vigogna nera delle feste ed hanno imparato,
col torace fasciato a doppio petto di lana pettinata, a scimiottare le maschie sporgenze di mascelle o gli effeminati contorcimenti di anche dei divi del cinema. Anche i signori s'interessano
alla vita della Piazza, però raramente vi passeggiano, salvo poche e decorative eccezioni. Appagano la loro curiosità allungando il collo dal marciapiede dell'Agenzia cogliendo a volo il brusio
dei pettegolezzi, al delicato olezzo delle beccherie e della succursale del Bar Gravina. Soltanto qualche avvenimento eccezionale li smuove e, forse, si sentono come pesci fuor d'acqua. La piazza
vede tutto e sorride con la condiscendenza dei vecchi saggi, e lascia fare ai suoi figli un po' sciocchi il gioco di adulti più scervellati. Sa che, malgrado le apparenze, e al di là di banali
infingimenti politici e cinematografici, il suo popolo è sempre lo stesso. La Piazza sente che basta la mistica serata del Venerdì Santo perché possa riabbracciare tutta la sua gente in preda
alla stessa commozione che fu di ieri e che sarà di sempre.