Tradizioni
I Laurielli

Riti della Settimana Santa - I “lavurielli” e l’Altare della Reposizione
Nelle celebrazioni della Pasqua Cristi-
ana il rituale dell’allestimento, il Giovedì
Santo, dopo la lavanda dei piedi, di quello che oggi, come stabilito dalla Congregazione per il Culto divino si chiama Altare della
Reposizione, mentre in passato era comunemente chiamato Sepolcro, rappresenta il luogo ed il momento in cui natura e spiritualità raggiungono il punto massimo della loro
esaltazione. È il luogo ed il momento in cui tutto inneggia alla vita: quella rappresentata dal Pane Eucaristico racchiuso in un’urna e quella del risveglio della natura
rappresentata nell’Italia settentrionale da drappeggi e da un
addobbo floreale (per lo più fiori bianchi) e nel centro-sud da germogli di grano (ma, anche se più raramente, di ceci o di lenticchie) nella forma
dei cosiddetti “lavurielli” o “lavureddi”. Il termine “lavurielli” (che qualcuno
pronunzia e/o scrive “laurielli“) è il diminutivo di “lavùri” nell’accezione di seminato di grano [lat. labore=’lavoro’, ‘coltura’].
Va da sé che la tradizione è chiaramente espressione della civiltà contadina e che “u lavurielli” posto ai piedi
dell’altare della Reposizione (“Subburchi” dal lat. sepulcrum) è una richiesta di benedizione per il
proprio lavorooltre che un fatto decorativo e di omaggio all’Eucarestia.
Dopo Carnevale, nei giorni della Quaresima, in alcune famiglie
devote, sono generalmente le donne, con la partecipazione gioiosa
dei giovani, a preparare dei contenitori, in genere piatti di bella fattura, nel cui fondo (su cui a volte è stata distesa della stoppa o
dell’ovatta ) spargono del grano, o dei semi di legumi (ceci o
lenticchie) e annaffiano il tutto. Quindi vengono riposti al buio, generalmente una grande cassa ( “u casciuni”) e annaffiati di tanto in tanto. Una volta germogliati, nella Settimana Santa gli steli,
dritti quelli del grano e pendenti quelli dei ceci o delle lenticchie, hanno raggiunto circa venti centimetri e hanno un colore tra il bianco, il giallo e il pisellino. Ed è così che questi
“lavurielli”, ornati con un nastro di seta colorata, vengono portati nella vicina chiesa (in genere quella
parrocchiale) per costituire l’addobbo o il decoro del sepolcro lì allestito.
Dopo la messa vespertina «in coena Domini» del Giovedì Santo, che
costituisce il solenne inizio del Triduo Pasquale della Passione, morte e risurrezione di Gesù, la sera, fino alle 23.00 o alla mezzanotte, i fedeli si soffermano presso l’Altare della Reposizione, in adorazione dell’Eucaristia, a memoria della sua istituzione nell’Ultima Cena.
I laurielli rappresentano la vittoria della vera vita sulla morte.
(Rinaldo Longo da Bitculturali.it)

I misteri della Passione
La rappresentazione della Settimana santa a Corigliano
di Luigi Petrone
Il periodo che precede la celebrazione pasquale trova in numerosi centri calabresi uno dei momenti di massima esaltazione spirituale. La rappresentazione del Venerdì santo, una delle più antiche e suggestive cerimonie religiose, costituisce il momento culminante dei riti della Pasqua [1].
I riti della Settimana santa raccontano una lunga storia di rapporti con la Spagna. Le sacre rappresentazioni della via crucis, un insieme tra religiosità popolare e folclore, traggono origini al periodo della dominazione spagnola dove nel Sud della regione e in Andalusia le Settimane sante e le riflessioni malinconiche dei misteri dolorosi ricevevano una particolare attenzione[2]. Alcuni ritengono che questo rito, come altre occasioni celebrative, sia stato introdotto dagli spagnoli per attenuare l’insofferenza nei loro riguardi. Più verosimilmente invece, queste spettacolari rievocazioni che così vasta acclamazione popolare incontrarono nel regno di Napoli, furono promosse da spinte controriformistiche che trovarono in queste straordinarie magnificazioni un utile ‘strumento’ capace di ben suscitare quel senso di commozione e di pietà tanto cara alla Controriforma.
Durante la settimana santa Corigliano diventa teatro di una rappresentazione religiosa che non ha eguali durante tutto il resto dell’anno. La rappresentazione della Via Crucis, tra le più solenni e antiche, simboleggia uno dei momenti più significativi della religiosità tradizionale. Questa manifestazione si ripete con puntualità da 400 anni. Le notizie esistenti, scarne e rarefatte, non vanno più indietro del XVII secolo, ma il fenomeno popolare che accompagna questa celebrazione sembra essere più antico, come provano manifestazioni analoghe in altre località del meridione[3]. La celebrazione del Venerdì santo è ufficialmente documentata alla fine del Seicento. Pier Tommaso Pugliesi, dotto carmelitano coriglianese vissuto tra la fine di quel secolo e gli inizi del successivo, ne ricorda brevemente l’esistenza raccontando della statua della Madonna Addolorata «processionalmente accompagnata da una moltitudine di Fratelli, e Sorelle vestiti a scoruccio» che, durante la sacra rappresentazione della Passione di Gesù, dalla chiesa dell’Addolorata veniva accompagnata « per tutti i luoghi della Città»[4].
In passato questa rappresentazione era molto più suggestiva di quanto non appaia adesso. Elemento caratterizzante di questa manifestazione è la corale partecipazione delle confraternite cittadine. Nel XVII secolo in città esistevano quindici congreghe ed un’arciconfraternita, anche se ben poche durarono nel tempo[5]. Possiamo figurarci quanto suggestivo doveva essere il corteo che si allungava per le strade dell’antico borgo. Una processione interminabile in cui più di cento confratelli, rappresentanti di dieci confraternite diverse, sfilavano per il borgo. Ciascuna portava per le via una statua della sacra rappresentazione, statue barocche riccamente vestire e adorne di gioielli come quella della Addolorata. Tutt’intorno, cinti dal gremire dei fedeli, si disponevano i portatori, uomini di fede o poveri disperati che si guadagnavano di che vivere. Il corteo di innumerevoli sai bianchi e colorati muoveva alla luce di centinaia di ceri accesi e canti devozionali.
Se i sodalizi laicali andarono incontro a riordinamenti, la sacra manifestazione non perse di certo interesse. Delle antiche confraternite che ancora oggi prendono parte a questa manifestazione di suggestiva coralità - che solo in parte ha perso l’originario significato rituale - ne restano soltanto cinque.
I confratelli della Congrega dell’Addolorata vestono saio bianco e mozzetta nera bordata di viola attraversata da una fascia di colore blu ricamata con l’iscrizione “Servi di Maria”. La Confraternita del Purgatorio di Santa Maria veste una mozzetta azzurra sopra una tonaca bianca e cingolo dello stesso colore della mantella, mentre lo stendardo è un drappo dello stesso colore trapuntato di stelle gialle. I riferimenti della Congrega di Santa Maria delle Grazie sono la mozzetta verde su saio bianco, mentre una mozzetta rossa su un saio con cappuccio bianco, e cingolo del medesimo colore della pellegrina, distingue la Confraternita del Santissimo Sacramento. Sulla mantella scorre una fascia orlata d’oro fregiata con l’ostensorio. La Confraternita del Santissimo Rosario invece ha il vestito bianco e la mozzetta nera bordata d’oro, come il nero cordone che cinge il saio.
Ma i veri protagonisti sono i “Misteri”, dieci gruppi statuari raffiguranti la passione e la morte di Cristo. La processione si raccoglie e prende inizio dall’oratorio della Confraternita dell’Addolorata, una modesta cappella ricavata nel sotto spazio absidale della chiesa di San Pietro, poiché questo è anche il giorno in cui si onora il Dolore della Madre. Quest’angolo della città, per tutto il resto dell’anno poco frequentato, all’improvviso si ravviva e ritorna come indietro nel tempo. La rappresentazione segue un preciso cerimoniale. Grande regista è il priore della Confraternita dell’Addolorata, o dei Sette Dolori, che secondo il Pugliese ed il Ferraris è da collegare all’Arciconfraternita dei Nobili già esistente nel 1555. Da tempi remotissimi questa congrega ha il compito di preparare la processione del Venerdì santo. Ora i confratelli sono meno segreti, non più incappucciati, ma non certo meno privi di fede e passione.
I giorni della Settimana santa sono un’occasione che consentono di scoprire una città diversa. Ogni chiesa partecipa alla Passione. Mentre fervono i preparativi sugli altari, esposti alla venerazione dei fedeli, vengono preparati i ‘sepolcri’ (i subburchj' ) addobbati con corone di spine intrecciate con una sottospecie di ginestra, simbolo della Passione, e germogli di grano fioriti nel buio (i lavuricchj ) rappresentazione feconda e vigorosa della “rinascita” di Cristo, ai quali i fedeli fanno visita per pregare e ritrovarsi in un ininterrotto cammino che si protrae per le vie del centro sino al primo mattino del giorno successivo.
Le processioni in realtà sono due ed hanno luogo una al mattino e una alla sera. Il prologo della Via Crucis trova le sue prime suggestioni all’alba, alle ore quattro del mattino, quando il corteo che precede quello della sera, inizia quel cammino che accompagna il Salvatore verso il suo ultimo sepolcro.
Alle prime luci del mattino, tra i riverberi dei lampioni ancora accesi, la processione del Cristo morto accompagnato dai confratelli di tutte le Congreghe ammantati nelle loro variopinte mozzette, comincia il suo cammino tra i vicoli del centro storico. Dietro il confrate reggente il gonfalone della congrega, nel loro lento intercedere dietro la bara di Gesù, sfilano silenziosi gli altri sodali che rinnovano così il senso di appartenenza e il dovere che lega gli uni agli altri ovvero di dare degna sepoltura ad ogni socio. Tra i fedeli si scorgono i “vattienti” , i flagellanti vestiti di bianco, ora il simulacro di se stessi ma un tempo rappresentanti di un suggestivo rito mistico dove dramma e commedia, spettacolo e dolore, erano un tutt’uno di fede.
All’imbrunire, sul sagrato cintato da una breve scalinata dominato dai torrioni del sovrastante castello, vengono disposti i “misteri”, i gruppi statuari che riproducono i quadri principali in cui si articola la sacra manifestazione. Il simulacro che raffigura l’Addolorata, una statua lignea policroma a grandezza naturale, avvolto in un abito nero impreziosito con delicati ricami in filo d’oro, risale al 1650. Di qualche decennio successivo sono i misteri, gruppi di bella fattura che rappresentano Gesù all’orto, Cristo flagellato (o alla colonna), l’Ecce Homo, la Caduta di Gesù, la Crocifissione e Cristo nella bara, eseguiti in cartapesta intorno al 1680. Le figure della Veronica, quella di Pilato e la Deposizione, compiute in gesso e cartapesta nel 1942 da una bottega leccese emula del Guacci, sono invece di introduzione recente.
Sino a qualche tempo fa, prima che la curia arcivescovile ne proibisse l’uso, era consuetudine che i gruppi dei misteri fossero contesi pubblicamente all’incanto (dal latino “in quantum”, cioè “a quanto”), una sorta di asta che assegnava ai fedeli il diritto di portare sulle proprie spalle le sacre rappresentazioni[6] che, come direbbe il grande antropologo Claude Levi-Strauss, simboleggiava “un rito che è anche gioco”.
Tutta l’attenzione è per la statua del Cristo nella bara. Quello del Cristo nella bara era tra i più contesi. Ma non poco danaro si offriva per avere l’onore di attribuirsi sua madre, l’Addolorata. Ora, meno profanamente, dal 1981 il Priore della confraternita dell’Addolorata scegliendo tra otto confratelli, diversi di anno in anno, stabilisce chi debba aver il privilegio di condurre la bara di Gesù per le strade del borgo. Gli uomini, accompagnati dalla banda cittadina che da sempre esegue le toccanti note delle meste marcette dei compositori locali, sorreggono le statue quasi trascinati dai fedeli. Lungo le impervie stradine che penetrano nel corpo della città, prima della salita al calvario, i portatori dei Misteri ricevano il cambio da altri fratelli, della stessa altezza per non perdere l'equilibrio.
Gli spettatori rivivono da vicino, come un vangelo ‘vivente’, il dramma della morte di Gesù. Apre il corteo la statua di Cristo nell’orto degli ulivi, Gesù nel Getsemani che precede, in ordine, quella di Pilato e, attorniato dalle guardie, Cristo alla colonna coperto con il mantello rosso che i soldati gli hanno gettato sulle spalle. La terza statua è quella di Cristo flagellato, l’Ecce Homo coronato di spine seguito a pochi passi dalla Caduta di Gesù, chinato sotto il peso della croce che porta sulle spalle, e dalla Veronica con il sudario in mano.
Più oltre, più robusto di altri, soccorso da un saldo cinturone che le cinge la vita, il crocifero conduce lentamente la statua del Nazareno crocefisso. Le figure che sono innanzi fanno come da scenario alla statua del Gesù sulla croce che pare quasi sfuggire, per protendersi verso il cielo, alle braccia del suo crocifero. Più indietro, prima della Deposizione, la rappresentazione dei misteri tocca il suo culmine nel simulacro di Cristo morto. Mentre la gente per strada si segna devotamente, profonda commozione suscita l’uscita della statua di Cristo nella bara come lo avvolse, Giuseppe di Arimatea, nel lenzuolo. Conclude il corteo l’Addolorata, la statua della Madre Dolorosa, con il petto trafitto di spade, vestita con i colori del lutto, di nero. Tra un brulichio di voci e volti, la processione procede sotto i bagliori di una giovane luna che, inaspettata, si è unita al singolare corteo. E’ uno sfilare di colori che, come le tante sfaccettature incerte tra il magico ed il religioso, caratterizza l’animo della religiosità meridionale. I fedeli si accalcano in fondo alla processione e sui lati. Quelli che non trovano spazio sulle piazze prendono posto nei balconi e sulle finestre.
Sfilando silenziosa davanti alle principali chiese cittadine, questo viaggio rituale conclude il suo cammino con la salita al Calvario, il luogo un tempo fuori le mura che i frati Francescani eressero presso il monte dei Cappuccini alla fine del XVII secolo.
Quando si approssimano i giorni della Settimana santa in città si avverte un’atmosfera singolare, diversa dagli altri giorni. Una moltitudine di fedeli che ritorna in paese per la Pasqua, affluisce in città assiepando i margini delle strade. Per una volta l’anno, la gente diviene protagonista, direttamente e indirettamente, di una sacra rappresentazione dove “chi è spettatore all’esterno - osserva Pierre Nicole, filosofo del Seicento - è in realtà un attore segreto”.
Confraternita del Santissimo Sacramento
La Confraternita del Santissimo Sacramento ha saio bianco e mazzetta rossa con cingolo del medesimo colore. La mantella è attraversata da una fascia orlata d’oro ricamata con l’ostensorio. Il priore indossa anch’egli il saio bianco col cappuccio e mozzetta rossa con ricami in filo dorato percorsa da una fascia di colore azzurro.
Confraternita di Santa Maria delle Grazie
I riferimenti della Congrega di Santa Maria delle Grazie sono la mozzetta verde su saio bianco, mentre una mozzetta rossa su un saio con cappuccio bianco, e cingolo del medesimo colore della pellegrina,
Confraternita del Purgatorio
I riferimenti di questa confraternita sono il saio bianco e mozzetta azzurra, mentre lo stendardo è un drappo dello stesso colore azzurro trapuntato di stelle gialle.
La Confraternita del Purgatorio di Santa Maria veste una mozzetta azzurra sopra una tonaca bianca e cingolo dello stesso colore della mantella, mentre lo stendardo è un drappo dello stesso colore trapuntato di stelle d’oro.
Confraternita del Santissimo Rosario
La Confraternita del Santissimo Rosario ha saio bianco e mozzetta nera bordata d’oro percorsa da una fascia di colore azzurro con il titolo della congrega e cordone di colore nero.
Congrega dell’Addolorata
I confratelli della Congrega dell’Addolorata vestono un saio bianco ed una mozzetta nera bordata di viola attraversata da una fascia di colore blu ricamata con l’iscrizione “Servi di Maria”.
Si ringrazia per le cortesi informazioni il Sig. Tonino Cardamone priore della Confraternita dell’Addolorata.
[1] Cfr. G. Santagata, Calabria sacra, 1976. Fra le più suggestive rappresentazioni ricordiamo La Giudaica, la rievocazione della Passione di Gesù a Laino Borgo, e quella dei Vattienti a Nocera Terinese.
[2] Era il 1521 quando a Siviglia il popolo, oppresso dalla miseria e dalle calamità, diede inizio al “Motín de la Feria y Pendón vierde” scendendo in processione con lo stendardo di Jesús Nazareno per invocare la clemenza del cielo.
[3] Anonimo, Modo di praticare la Via Crucis, ms, Napoli 1769 c.; A. Messia, Divozione alle tre ore dell’agonia di Gesù Cristo Nostro Redentore, Napoli 1858.
[4] P.T.Pugliesi, Istoria Apologetica Dell’antica Ausonia, oggi detta Corigliano, Napoli 1707, p.218.
[5] Alla confraternita del Santissimo Sacramento che rimonta al 1539, si univano quella di Santa Maria delle Grazie e quella di San Jacopo Maggiore fondate verso la fine del Cinquecento (ma documentate, rispettivamente, nel 1606 e nel 1608). Un gran fiorire di sodalizi laici si ebbe nel corso del Seicento. Insieme alla confraternita del Santissimo Rosario, eretta prima del 1630, furono fondate quella che si raccoglieva sotto il Nome di Gesù (1631), quelle dedicate a San Leonardo (1634) e a San Bernardino (1634) ed altre ancora dedicate alle Anime del Purgatorio (1641) e a Sant’Antonio da Padova (1656). In questi anni risulta operosa anche la Congrega dell’Addolorata, ma è certamente preesistente a questa data. Nel Settecento, mentre alcune scompaiono, altre ancora sorgono. Nel 1743 è attestata la confraternita di San Giuseppe e sempre in quegli anni sono documentate quelle dedicate a San Pietro (1764), un’altra al Santissimo Sacramento e la piccola congregazione delle Maestranze che aveva soltanto dodici confratelli (Cfr.T.Gravina Canadé, Le Chiese raccontano. Note di storia, arte, tradizione di Corigliano Calabro, Soveria Mannelli 1995).
[6] A Molfetta e a Taranto nella processione dei ‘perdune’ i pretendenti portatori dei Misteri si contendono il privilegio con offerte in denaro.