Cronache sull'emigrazione

1887 - Le partenze per l'America

E sen vanno, sen vanno ogni giorno a popolare il nuovo mondo, abbandonando la patria,le officine, i campi!! Non è da illudersi: fra qualche anno mancheranno le braccia per l'agricoltura,e con essa languiranno le industrie ed il commercio! La nostra, Corigliano era quasi rimasta immune della febbre dell'emigrazione; in tanti anni non erano partiti che pochi individui; era l'invidia della provincia. Ma ora malgrado la vastità del suo territorio, la varietà delle colture, l'ubertosità dei suoi campi, la abbondanza dei prodotti, le comodità della vita, anche Corigliano vede frequenti e numerose le partenze per le Americhe! E se prima partiva il barbiere,il sarto,il calzolaio, ora la smania della partenza ha invaso, non soltanto e più potentemente gli artigiani, ma benanco i contadini — E vanno non solo gli uomini, ma pure le donne; non solo gli adulti, ma pure i fanciulli, e vanno allegri e giulivi, come se andassero a festa! Ma per quali cause si abbandona tanto sorriso di cielo, per andare in lontane contrade, in mezzo a tante difficoltà e a tanti disagi? Le cause che inducono il coriglianese ad emigrare sono perfettamente identiche a quelle, degli altri paesi della provincia— Malgrado tutto ciò che Dio ha concesso a questa nostra terra, molti sono quelli che soffrono, e non si può a lungo resistere con fredda indifferenza ai lamenti che partono dal petto delle persone a noi più care — Qui non si può più vivere! vi sentite esclamare tutti giorni. E veramente i bisogni della vita sono di molto cresciuti, e la mercede del contadino non è migliorata. Ma a volerla migliorare si urtano gl'interessi dei proprietari, e fra questi, i piccoli sono in condizioni anche peggiori. A molti quella limitata proprietà è piuttosto di peso : il tenue prodotto non basta per le imposte, sempre crescenti, e le spese fatte per la coltura vanno spesso perdute. Laonde, in tanta triste condizione si rumina nel cervello il pensiero di valicare l'oceano, e, quando si è potuto raggranellare una sommetta pel viaggio, si parte, abbandonando la patria, i domestici lari, la diletta sposa, i genitori, i figli!.. Si figuri quale strazio abbiano a provare quei cuori; ma pur li anima la speranza di potere in quelle lontane plaghe migliorare la loro condizione, e ritornare un giorno,se non ricchi, almeno in istato da vivere senza stenti,e da cittadini liberi ed indipendenti. Nè il miglioramento del proprio stato è il solo movente all'emigrazione. Il desiderio di una più verace libertà ed indipendenza; la sete ardente di giustizia che qui spesso si vede conculcata, anima anche i nostri emigranti. Gli agenti fiscali vi mettono tutt'i giorni alla tortura, e con tutte le ragioni del mondo non si riesce a renderli più umani. È un piacere a vederli gongolanti di gioia per aver aumentato di qualche centinaio o di qualche migliaio di lire la tassa di Ricchezza Mobile, per esempio; ma non voglion capire che quello è sangue del povero, e non è regola di buon governo giungere agli estremi. Se un povero operaio, un contadino avrà a contendere con un ricco, meglio che non ardisca di farlo: le porte della giustizia son chiuse per lui! Son dunque gli abusi di ogni specie, son lo esorbitanti imposte, son le continue ingiustizie che irritano i nostri buoni operai, i quali fuggono, fuggono per non sottostare a tante enormità. Che il Governo ci pensi una buona volta. Si promettono sempre dei rimedi contro l'emigrazione; ma, mentre i rimedi son là da venire,l’emigrazione cresce, cresce sempre! Son le classi operaie che il Governo deve pensare a migliorare, sollevandole dall'abbandono in cui giacciono : poiché per esse finora troppo poco si è fatto, molto ancora resta da fare.

E vogliamo sperare che per il bene comune della Patria, vi si pensi seriamente, con coscienza, con intelletto ed amore.

(Il Popolano n° 19 del 2 ottobre 1887)